8 marzo, Arcigay lancia una campagna social con sette storie di lotta e resistenza


Sette donne simbolo dell’attivismo, protagoniste delle battaglie femministe, antirazziste e per l'affermazione degli orientamenti sessuali e delle identità di genere, saranno le protagoniste delle card che compongono la campagna social realizzata da Arcigay, attraverso la sua Rete Donne, in occasione dell'8 marzo.
Tra loro fihura Hande Kader, attivista e sexworkers trans turca, arrestata durante il Pride di Instanbul, vietato dalle autorità, e ritrovata morta, carbonizzata e mutilata, poco tempo dopo; Audre Lorde, poeta lesbica afroamericana, icona del pensiero femminista intersezionale, vissuta negli Stati Uniti nella metà del secolo scorso; Marsha P.Johnson, donna nera transgender, tra le attiviste che diedero vita ai celeberrimi moti di Stonewall, a New York nel 1969, ritrovata morta in circostanza sospette nel 1992; Marcella Di Folco, fondatrice del Movimento Identità trans a Bologna e prima transessuale eletta in cariche pubbliche in Italia; Marielle Franco, femminista nera lesbica, nata e cresciuta nella favela di Maré a Rio de Janeiro, uccisa da otto colpi di pistola dopo aver denunciato le esecuzioni extragiudiziali, il narcotraffico e le violenze di genere della polizia brasiliana; Mariasilvia Spolato, prima donna lesbica ad aver fatto coming out in Italia, ripudiata dalla famiglia e dall'ambiente di lavoro, morta in solitudine e povertà in una casa di riposo a Bolzano; Stella Young, giornalista, attrice comica e attivista femminista e per i diritti delle persone disabili, nata e vissuta in Australia, morta a soli 32 anni nel 2012. Sette storie di coraggio e pionierismo per ribadire che la lotta alla violenza di genere, alla discriminazione e all’abilismo sono un impegno quotidiano.

«Per noi l’8 marzo -spiega Natascia Maesi, responsabile Politiche di genere nella segreteria nazionale di Arcigay- è una giornata di rivendicazione e di lotta nella quale i nostri corpi si uniscono a quelli delle compagne di Non una di meno e di tutti coloro che si riconoscono nella piattaforma politica dello sciopero globale transfemminista. Sentirsi parte della marea transfemminista che attraverserà le strade, occuperà le piazze, invaderà i luoghi di lavoro e di cura e aderire alle modalità di sciopero previste, significa mettere in discussione l’eterosessualità obbligatoria, i ruoli sociali imposti, i derivati della mascolinità tossica, i rigidi modelli familistici basati esclusivamente sulla coppia; significa difendere il diritto all’autodeterminazione sui corpi contro le patologizzazioni e psichiatrizzazioni imposte alle persone trans e intersex, e combattere l’abilismo che discrimina le persone differentemente abili, ma anche il diritto a un permesso di soggiorno europeo senza condizioni, rifiutando ogni forma di violenza razzista e istituzionale contro le persone migranti. Sentirsi parte della marea transfemminista, significa rifiutare narrazioni violente e piene di mistificazioni che parlano di “ideologia gender”, denunciando le nostre difficoltà nel promuovere programmi di educazione sessuale e affettiva, alle differenze e al consenso nelle scuole; significa ribellarci alle stereotipizzazioni binarie ma anche mettere in discussione i privilegi maschili e la misoginia delle nostra stessa comunità prendendo le distanze da posizioni escludenti e discriminatorie nei confronti delle donne trans* (TERF) e delle sex workers (SWERF); significa ribellarsi alla maternità imposta difendendo il diritto all’aborto libero, sicuro e gratuito, rimettere al centro il diritto al desiderio e al piacere, ma anche distinguere tra genitorialità e maternità, rifiutando ogni forma di sovradeterminazione delle donne. La nostra comunità conosce la violenza che ti costringe a scappare di casa, che ti tiene sotto ricatto al lavoro, la violenza dello stigma agito sui nostri orientamenti, sui nostri copri non conformi, sulle nostre identità non binarie, sulle nostre famiglie non riconosciute e tutelate pienamente, sulle nostre relazioni non normate».

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