Marina Terragni accusa i gay di essere misogini perché troppo maschili


C'è da averne le scatole piene davanti a tutte quelle persone che pretendono di venirci a dire come si debba essere gay. E il fastidio non può che aumentare se viene negato il dato di fatto per cui l'orientamento sessuale non è altro che una delle tante caratteristiche che compongono una persona, motivo per cui il tentare di attribuire un pensiero condiviso all'intera comunità è un fatto che nega l'individualità e la peculiarità propria di ogni singolo essere umano.
Su Quotidiano.net troviamo tale Marina Terragni pronta a firmare un articolo intitolato "Stonewall, 50 anni dopo. I gay? Sono diventati misogini" in cui la signora sostiene che «negli Usa sale il disagio per la cultura Lgbtq». E già qui bisognerebbe domandarsi cosa diavolo sarebbe quella fantomatica «cultura lgbt» di cui lei parla, ma forse è ben più significativo osservare come la signora si dichiari una convinta «femminista» che sul suo blog appare letteralmente ossessionata dalla GpA (che ovviamente lei definisce secondo i termini dispregiativi coniati dal fondamentalismo organizzato) in nome di come di come lei sostenga le donne non debbano poter scegliere come utilizzare il proprio utero dato che lei pretende di imporre loro le sue scelte.

Ed è dunque in riferimento ai Moti di Stonewall che la signora Terragni scrive:

"Big little lies" è una delle più belle serie degli ultimi anni. La protagonista Madeline vorrebbe che la figlia Abigail si iscrivesse al college, ma Abi non ne vuole sapere: "Tutto quello che fanno al college" si ribella "è fumare, scopare e rimuginare sul cambio di sesso". Certe serie fotografano bene la realtà americana: nella subcultura giovanile il cambio di sesso è l’apice della libertà. Gli ormoni – meglio se autoprodotti – e il queer stanno alla generazione Z come l’Lsd stava alla Beat Generation. Ma ogni fenomeno, raggiunto il climax, genera fatalmente i suoi anticorpi: di questa roba "da college" Abi non ne vuole sapere. Sostiene Amnesty International, le interessano i progetti collettivi e non le peripezie libertaristiche individuali.
Abi rappresenta bene quel 55 per cento di giovani americani (18-34 anni) che oggi dichiara disagio nei confronti delle persone e della cultura Lgbtq. Disagio crescente, a quanto pare: nel 2016 riguardava il 37 per cento dei giovani, nel 2017 il 47 per cento, oggi siamo al 55.

Se pare un po' strano che si voglia sostenere che nei collegi statunitensi i ragazzi facciano a gara per cambiare sesso, surreale è come si crei un "noi" e un "loro" in cui ai gay viene attribuita una realtà e una "cultura" alternativa quasi non fossero parte della comunità.
L'articolo passa così a sostenere che la Glaad se la prenderebbe con la dialettica omofoba di Trump e che le ragazze sopporterebbero i gay meno dei maschi in nome di come una tizia britannica sostenga che i gay sarebbero cattivi contro di loro:

Tante oggi si sentono tradite dai fratelli gay che nel loro percorso di normalizzazion-omologazione hanno abbandonato ogni tratto femminile per aderire al modello della virilità etero. Misoginia compresa. "Noi gay dobbiamo cominciare a prendere coscienza di avere un problema di misoginia" ha scritto Jamie Tabberer in un discusso editoriale sul quotidiano britannico The Independent, spiegando che oggi la comunità gay è ossessionata dall’apparenza maschile e "femminilità è ritenuta una parolaccia".

In altre parole, i gay non andrebbero bene se troppo effeminati e non andrebbero bene neppure se mascolini. Ed è in un volo pindalico tra Stati Uniti, Inghilterra ed Italia posti come luoghi in cui la comunità gay dovrebbe essere ritenuta equivalente (anche se basta poco a comprendere che un gay di Abbiategrasso non abbia nulla a che vedere con un gay di New York o di San Francisco), scrive:

Motivo di conflitto anche la rivendicazione di libero accesso all’affitto di utero: "Esigiamo", è scritto aggressivamente nel documento politico del Pride 2019, con il sostegno di un femminismo ancillare. Più in generale, a 50 anni dai moti di Stonewall del 27 giugno 1969, data di nascita del moderno movimento Lgbtq, la pretesa di occupare il centro delle politiche, di negoziare ogni sorta di diritto, di fare della fluidità il paradigma dell’umano – il Neutrum Oeconomicum di cui trent’anni fa il filosofo Ivan Illich preconizzava la venuta – potrebbe rivelarsi un boomerang.

Peccato che la signora non comprenda che pare difficile accettare che la propria vita debba essere devastata dall'odio di un qualche Simone Pillon solo perché ci vuole tempo prima che i suoi proseliti inizino a capire di essere stati ingannati. Pare normale che una persona pretenda oggi ciò che le è dovuto, anche se chi gode di privilegi come lei non hanno alcuna fretta.
Le dicessero che sua figlia non può avere pari tutele giuridiche di tutti gli altri perché in qualche leghista odia la sua famiglia, lei se ne starebbe in disparte accettando che sua figlia sia discriminata o esigerebbe per lei il pieno riconoscimento della pari dignità?

Ma forse la domanda è superflua dato che la signora Terragni è la stessa tizia che per vomitare il suo odio contro i gay ha spergiurato che una fotografia che da anni circola sui siti omofobi sarebbe stata scattata al Roma Pride:

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