Gervasoni attacca la premier finlandese, sostenendo che il suo essere figlia di due madri contrasti il magistero morale cattolico
Pare che a Nicola Porro e ai suoi amichetti populisti non piacciano le donne che fanno carriera, quasi come se le reputassero una minaccia alla supremazia al maschio eterosessuale bianco o se temessero che la parità dei generi genererebbe un conflitto con quel loro Simone Pillon che vuole recludere le donne in casa in modo da adibirle alla produzione di bambini che abbiano un colore della pelle a lui più gradito di quelli che vorrebbe fossero abbandonati alle acque del Mediterraneo.
Mischiando omofobia, sessismo e misoginia, il vicedirettore de Il Giornale si lancia nel sostenere che la ciellina Cartabia sarebbe «una donna di sinistra» e che è in nome della sue retorica del "noi contro loro" di stampo nazista che la si dovrebbe disprezzare in nome delle teorie del suo amico Marco Gervasoni:
L'articolo esordisce col tentare di sostenere che le donne farebbero carriera solo grazie agli uomini e che dovrebbero ringraziare i maschi per ogni loro successo:
Avranno rotto il tetto di cristallo ma a noi hanno sfiancato l’animo con questa vicenda del women’s empowerment, che odora di ipocrisia lontano un miglio. Ipocrisia doppia. Una prima volta perché le sfondatrici del tetto di cristallo devono spesso moltissimo agli uomini questa carica rivoluzionaria, quindi dimostrano che la scalata al potere non è avvenuta come amazzoni in lotta contro il protervo maschio. Una seconda volta perché, come ho avuto modo di scrivere qui altre volte, dipende dal colore politico della donna: non tutti i tetti di cristallo valgono.
Si passa così alla consueta macchina del fango, sminuendo i ruoli delle donne che risultano al centro della loro campagna d'odio:
Abbiamo assistito a due esempi recenti di questa narrazione strumentale, costruita soprattutto dai media mainstream. Giorni fa con il primo ministro donna finlandese, Sanna Marin il secondo con la nomina del presidente della corte costituzionale, Marta Cartabia, che non a caso ha citato esplicitamente la finlandese.
Ora che un premier nei paesi scandinavi e del nord Europa sia una donna non è gran che rilevante ormai, anche se in Finlandia è la prima volta (benché abbiano avuto nella loro storia un presidente della Repubblica donna). Ma non è rilevante perché in quei paesaggi politici, come del resto in quelli della Europa continentale, il potere effettivo del premier è molto limitato, essendo sistemi tendenzialmente multipartitici e consociativi, dove il capo dell’esecutivo è poco più di un segretario, cambia molto spesso, e soprattutto non è investito da un mandato elettorale pieno.
Asserito che la premier finlandese sarebbe una passacarte e che lei non disporrebbe di quei "pieni poteri" che invocava quel loro amato assenteista padano che si fa chiamare "capitano" per sottolineare che vuole decidere lui e che pretende che tutti obbediscano ai suoi ordini, si passa ad inveire contro la Cartabia:
Idem sentire con Marta Cartabia, diventata presidente della Consulta, si, ma nessuno che ricordi che in quel ruolo, più che di elezione, si dovrebbe parlare di rotazione e che la giurista deve molto a un uomo, Giorgio Napolitano, che la nominò alla Consulta – in quota Comunione e liberazione – anche se poi Cartabia ha da allora preso posizioni molto liberal, proprio sui temi etici e di bio politica. D’altra parte il neo presidente Cartabia ha esplicitamente citato come esempio positivo la Marin figlia di due “madri” lesbiche, una condotta non esattamente in linea con il magistero familiare della morale Cattolica.
Se pare che Porro e Gervasoni abbiano profondi problemi con il principio di laicità dello stato dato che si lamentano come bambinetti capricciosi che la Chiesa non detti legge come avviene nei Paesi dominati dai terroristi dell'Isis, patetico è come nascondano il fatto che la Gervasini abbia attaccato le unioni civili e che è a lei che si appellarono le lobby integraliste di estrema destra che invocavano un suo intervento per limitare i diritti civili delle persone lgbt.
Immancabile è anche l'uso delle virgolette per definire le due madri di una donna sulla base della sintassi ideata dal fondamentalismo organizzato allo scopo di togliere dignità alle parole che si riferiscono alle famiglie vittima della loro costante aggressione.
Si passa così al solito vittimismo, sostenendo che la loro Meloni o la loro Le Pen sarebbero sminuiti nel loro genere, negando che il problema sia il loro odio e non certo il loro utero:
Il secondo ordine di ipocrisia dei discorsi sullo sfondamento del tetto di cristallo sta nel colore della sfondatrice. Se rosso, come è il caso di Marin, o rosè, o in ogni caso appartenente al mondo progressista e dei cattolici di sinistra come Cartabia, la donna che raggiunge determinati risultati va senz’altro enfatizzata. Nel caso invece il colore politico della eroina non sia rosso, lo spartito prevede ben altro: silenzio o, quando la donna è diventata troppo ingombrante, allora bisogna parlare di lei senza far alcun cenno al suo essere donna. I casi qui si sprecano: dalla Thatcher fino ai giorni nostri, con Marine Le Pen, Giorgia Meloni, Marion Maréchal. Insomma la donne è donna solo se progressista, altrimenti diventa una sorta di androgino, un terzo sesso non ben definito. Prepariamo i pop corn per il giorno in cui Giorgia Meloni dovesse diventare la prima donna Premier in Italia o Marine Le Pen o Marion Maréchal le prima donne presidenti della Francia.
Peccato che una Giorgia Meloni premier non sarebbe pericolosa in quando donna, sarebbe pericolosa in quanto fondamentalista fieramente omofoba che vuole schierare navi da guerra contro chi salve vite umane, inneggiando alle sue teorie supremastiste a danno di migliaia di lavoratori e cittadini italiani. Ma forse il populismo è incapace di entrare nel merito dei temi, preferendo proporre le loro semplificazioni propagandistiche che ci spiegano perché i russi dicano apertamente di aver scelto alleanze con la Lega dato il basso livello culturale dei suoi elettori.