I giudici confermano la condanna contro la Lega: «Chiamare "clandestini" i profughi è reato di discriminazione»


Matteo Salvini ha investito moltissimi rubli per veicolare la falsa idea che i richiedenti asilo debbano essere sommariamente definiti «clandestini» in virtù di come quel termine avrebbe disumanizzato i naufraghi per permettergli di poter lucrare maggiormente sulla loro pelle. Ma, ancora una volta, la magistratura ha appurato che quel linguaggio è pura violenza ideologica e che usare termini che hanno significati diversi dalla realtà «non è libera manifestazione del pensiero».
La vicenda portata all'attenzione dei magistrati fa riferimento ai manifesti razzisti con cui la Lega di Matteo Salvini tappezzò la città di Saronno nel 2016 attribuendo l'appellativo di «clandestini» ai 32 richiedenti asilo che sarebbero giungere in loco sulla base della redistribuzione decisa dall'allora ministro Alfano.
La corte d'appello ha dunque confermato che chiamare «clandestini» i profughi è reato di discriminazione e non può essere considerato «libera manifestazione del pensiero politico» perché viola i principi fondamentali della Costituzione.
Confermando la condanna emessa in primo grado, i giudici hanno respinto il ricorso presentato dalla Lega, sottolineando l'odio di manifesti di propaganda politica che definivano «usurpatori» i richiedenti asilo sopo aver spergiurato che il loro «vitto alloggio» e non precisati «vizi» avrebbero provocato un fantomatico aumento delle tasse e che il parlare di «invasione» rientra negli estremi del reato di «molestia» attraverso il tentativo di «violare la dignità dei cittadini stranieri e di creare intorno a loro, nel contesto territoriale in cui sono inseriti, un clima ostile, umiliante ed offensivo, per motivi di razza, origine etnica e nazionalità».
I magistrati hanno anche respinto la teoria leghista per cui quegli insulti sarebbero stati espressione di un «libero pensiero politico» dato che la legge stabilisce che «la tutela contro gli atti di discriminazione si fonda essenzialmente sui principi fondamentali della Costituzione in tema di diritti inviolabili della persona, di adempimento dei doveri di solidarietà sociale (art. 2 Cost.), di pari dignità sociale e di eguaglianza davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza e di lingua, di opinioni politiche e di condizioni personali e sociali (art. 3 Cost.). Il divieto di discriminazione è inoltre sancito dall'art. 14 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali» e quindi «anche l'espressione di un'opinione "politica", pur rappresentando estrinsecazione del diritto costituzionalmente garantito alla libera manifestazione del pensiero, deve essere necessariamente bilanciata con il rispetto e la tutela della dignità delle persone alle quali è fatto riferimento, il che nel caso in esame non è avvenuto, risultando sussistente la responsabilità per la ravvisata condotta discriminatoria».
Gli avvocati dell'accusa osservano anche come «la sentenza conferma che l'utilizzo di un linguaggio rispettoso dei nostri doveri di protezione e delle persone che la chiedono non è solo un dovere morale, ma anche un obbligo giuridico».

Per i sovranisti votati al culto di Salvini che non comprendessero il significato del simbolo che la Lega usava, il riferimento al nord si basa sulla teoria salviniana per cui i settentrionali dovrebbero valere più dei meridionali, così come la "Padania" è quella terra immaginaria in cui Salvini diceva di credere e che lui sosteneva fosse la sua reale patria dato che lui schifava l'Italia. Questo, ovviamente prima che dicesse che lui è sovranista e che ora gli piace il tricolore dato che spera di prendere i voti di quelle popolazioni che ha insultato sino a ieri.
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