Il padre omofobo ha cercato di decapitarlo e di bruciarlo, ma Usa ed Europa dicono che non basti per ottenere lo status di "rifugiato"
Per quanto i camerata di estrema destra fomentino odio razziale sostenendo che i rifugiati non meritano alcuna protezione o che i rifugiai gay mentirebbero su tutto e dovrebbero essere rimpatriati come promette di voler fare quel loro amato Salviini (che però risulta essere autore del minor numero di riparti degli ultimi anni dato che preferiva la spiaggia e il mojito al suo lavoro da ministro), è la cronaca a raccontarci di quali terribili orrori siano vittime i gay che vengono costretti a fuggire dalle loro cause e dai loro paesi a causa della furia omofoba.
Il protagonista è un rifugiato ventenne, originario del Ghana, che nel 2016 viveva ad Accra insieme ad un ex compagno di scuola. Una volta scoperta la sua omosessualità, è stato suo padre ad aizzare la folla contro di lui e ad aver organizzato un raid punitivo: lo ha spogliato, picchiato a sangue ed infine cosparso di benzina. Se non fosse scappato, sarebbe morto per decapitazione e poi bruciatoper mano di un padre omofobo.
Il ragazzo ha cercato di fuggire negli Stati Uniti, ma un giudice gli negò lo status di rifugiato perché l'aggressione subita era da intendersi come un fatto isolato. Nel Regno Unito gli dissero che non aveva un compagno e qunque non erano certi del suo orientamento sessuale, mentre in Austria gli dissero che non si “comportava da gay”. Ora ha fatto ricorso e la sua domanda è ancora sospesa.
E fa riflettere un'Europa e degli Stati Uniti che l'egoismo dei populisti ha trasformato in scarole vuote che non hanno alcun interesse per un ragazzo di vent'anni che, se rispedito a casa, verrà condannato a morte certa.