Zaira Bartucca attacca Versace e Gucci, sostenendo che i prodotti debbano compiacere l'omofobia di Putin

Sarà che i populisti amano dire cose a caso sulla base di quello che ritengono sia il profitto personale e propagandistico che sperano di poter ricavare da ogni loro affermazione, ma fa un po' sorridere che quella Zaira Bartucca che oggi dice che il contrasto all'omofobia sarebbe «l'ultimo indotto italiano in grado di generare guadagno» è la stessa che lo scorso settembre sosteneva che il contrasto all'omofobia facesse perdere soldi agli italiani.

Attraverso il suo sito di propaganda filo-russa, se ne uscì pubblicando questo articolo:


Se già nel titolo si sostiene che il rispetto della dignità umana viene da lei ritenuta «una scelta di parte» in nome di come lei sostenga che l'odio contro interi gruppi sociali dovrebbe essere ritenuto un fantomatico «diritto di critica», c'è da turarsi il naso nel vedere come nel sottopancia si parli di «simboli, feticci e personalità care alla propaganda».

Nell'articolo si iniziano a rilanciare gli slogan leghisti, sostenendo che «a rimanere sulla cresta sono marchi che hanno acquistato solidità proprio grazie ai loro legami col territorio». Ai passa poi al sostenere che qualcuno starebbe facendo quella fantomatica «propaganda lgbt» che si è inventato il loro amato Putin, sostenendo che «Russia, Ucraina e Cipro» non apprezzerebbero la tolleranza e che quindi bioingegnere creare capi pensati per compiacere il loro odio:

Stando ai dati forniti dalla piattaforma che si occupa di visibilità online SEMrush, il maggior interesse per la sette giorni milanese arriva oltre che dall’Italia (66,95%), da Cipro (8,41%), dall’Ucraina (6,67%) dalla Russia (5,06%) e infine dalla Germania (3,69%). E se il primo è il Paese di quanti hanno scoperto un rispetto per sé stesso che si ripercuote anche nelle scelte politiche, terzi e quarti fanno parte di quell’est sempre più facoltoso che tendenzialmente non gradisce affatto la propaganda lgbt, che in molti marchi è più che palese.

Forse sostenendo che bisognerebbe produrre capi con svastiche per compiacere i neonazisti dell'est, l'articolo inizia a dispensare i soliti insulti che tanto piacciono ai bulletti populisti. dicono che «l'arcobaleno Benetton ormai fa sbadigliare», lamentano che ci darebbero modelli «preferibilmente neri e asiatici» e «magliette con baci omosessuali in mostra e stampe con preservativi multicolore». Contro «l'androgina donna Prada e i modelli da impiegato comunale» dice che la loro donna sarebbe «sempre più mascolina»e che «sembra avere sempre più in mente modelli come l’impiegato comunale o l’operaio da cantiere».

Insultando gli italiani che lei dice non dovrebbero essere ritenuti tali, l'articolo inizia a deviare verso la propaganda razzista nell'affermare:

Gucci? Predilige come testimonial “italiani” come Ghali, e così li definisce. Così il rapper tunisino (tale è la sua famiglia da generazioni e questo racconta, del resto, il suo aspetto) diventa il modello che espone calzature che hanno un ché di derisorio verso la vera italianità, e che utilizzano i colori della bandiera nel tentativo disperato di avvicinare chi forse diventerà ancora più scettico.

Sempre dispensando insulti, l'articolo si conclude affermando:

L’esigenza di coniugare i feticci dell’universo lgbt, quelli del “nero è bello a tutti i costi” e infine quelli di quanti si sentono a disagio con l’Italia e con l’essere italiani, Versace l’ha risolta in partenza. La collezione, una delle più attese, non è stata ancora presentata, ma a giudicare dalle ultime che strizzano l’occhio al total-black, alle tradizioni africane o al gender-black, non ci stupirà con un ritorno allo stile iconico che lo ha reso un marchio che sembrava fosse intramontabile.

La tesi pare dunque evidente: loro paiono esigere modelli bianchi ed eterosessuali, donne sottomesse e prodotti pensati per compiacere i neofascisti dell'est.


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