Provita Onlus chiede una censura al racconto della GpA, forse temendo possa sbugiardare la loro propaganda basata sul pregiudizio


Loro sono per cui i crimini d'odio sarebbero "libertà di espressione" e per cui le aggravanti sarebbero "un bavaglio" agli omofobi. Eppure ora si sono messi a sbraitare che non vogliono che un film possa raccontare alla gente cosa sia realmente la GpA. Forse temendo che la loro propaganda possa essere minacciata da un racconto della realtà, i due leader di Provita Onus hanno diramato un comunicato stampa on cui chiedono la censura al racconto di quelle vite a loro sgradite.

Nel loro comunicato, scrivono:

“Un film-propaganda all'utero in affitto prodotto da Rai Cinema con i soldi di tutti noi contribuenti. Le prime a indignarsi sono state le femministe, basta dire questo per comprendere la gravità della scelta vergognosa di “mamma degenerata Rai” hanno dichiarato Toni Brandi e Jacopo Coghe, presidente e vice presidente di Pro Vita e Famiglia onlus parlando del film Tuttinsieme di Marco Simon Puccioni.
“In barba al fatto che in Italia l'utero in affitto è un reato punito anche con il carcere come cita l'articolo 12 della legge 40 e che recenti sentenze della Corte Costituzionale e della Cassazione a Sezioni Unite hanno fermamente ribadito e confermato, Puccioni vuole raccontare l'esperienza genitoriale sua e del suo compagno senza considerare minimamente la sofferenza delle donne schiave che prestano i loro uteri e che vivono in povertà nei Paesi del terzo mondo, non dice che si toglie la possibilità a questi bambini-merce di avere una mamma, non denuncia lo squallido business di ovuli e ventri che c’è dietro” hanno continuato Brandi e Coghe.
“Gentile Puccioni, perchè nel film non fa vedere i figli dell’utero in affitto “parcheggiati” in un hotel in Ucraina durante l’emergenza Covid? E’ normale accettare che esistano ‘consegne umane’ sospese? Se vuole raccontare gli orrori della gestazione per altri, come vi piace chiamarla perchè non parte da qui?” hanno concluso Brandi e Coghe.

Non si capisce quale sarebbe il problema nel raccontare storie di fatti legali avvenuti in Paesi in cui la GpA è legale, sempre che Provita Onlus non decida di sostenere che sia necessaria una sistematica censura di qualunque realtà non sia conforme al loro pensiero unico, magari vietando di poter raccontare le storie legate del fine vita dato che loro vogliono vietare pure quello.
Eppure il loro premettere che un simile racconto vada visto come un atto di «propaganda» pare presupporre che i due sappiano bene che la produzione si discuterà dal racconto della loro propaganda, rappresentando una realtà ben diversa da quella che loro raccontano per fomentare disprezzo e disinformazione.
Inoltre non si capisce perché tirino in ballo i bambino di Kiev nati durante la quarantena, tutti legati a famiglie eterosessuali che sono entrate nel mirino della loro propaganda solo quando hanno deciso di voler impedire ai gay di poter essere genitori. E non meno surreale è come parlino di donne del terzo mondo contro gay che possono accedere a tale pratica sono in Canada e negli Stati Uniti.
Immancabili sono anche le offese alla famiglia del regista, vomitate con la consueta brutalità che la loro organizzazione riserva a chiunque compie scelte diverse da quelle che loro vorrebbero imporre per legge mentre vanno in piazza con cartelli in cui ipocritamente scrivono di voler "restare liberi" di poter discriminare.
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