Nuova pioggia di bugie a firma di Zaira Bartucca, la "giornalista" che vuole curare il Covid-19 con l'aspirina
Puntuale come la morte e le tasse, ecco arrivare l'ennesimo articolo diffamatorio a firma della pluri-querelata Zaira Bartucca. Ovviamente si tratta del solito testo rancoroso che la populista che dice di essere una "giornalista" si è premurata di infarcire di bugie e illazioni imbarazzanti, manco ritenesse che il suo proporsi come una bulla senza etica o morale possa far colpo tra i suoi pochi seguaci o che le possa offrire un minimo di visibilità dato che quel suo rancoroso sitarello dedito alla diffamazione di politici, cittadini e persone per bene pare non filarselo pressoché nessuno.
Come prassi del "metodo Bartucca", si parte dal dichiarare il falso e dal raccontare che lei sarebbe la detentrice di una "sua verità" che contrasterebbe con l'oggettività dei fatti. Il riferimento è al suo essersi fatta pagare dei soldi per pubblicare un articolo in cui è stato inserito un link un sito dalla dubbia legalità che permetterebbe di guardare film piratati in streaming.
Se non serve molta intelligenza per capire che la "pirateria" è quella di chi pubblica i film e la paga per traghettare utenti sulla sua piattaforma e non il suo suo pubblicare articoli a pagamento (che sarebbe anche lecito se fatto secondo certi criteri etici), nel suo articoletto la signora Bartucca se ne esce dicendo: "No, un redazionale non è pirateria". Peccato, però, che nessuno l'avesse mai accusata di quello.
La Bartucca inizia a raccontare che il suo sito sarebbe bellissimo, il più bello di tutti, e che sarebbe colpa di Facebook e di Google se i suoi articoli sui vaccini che farebbero male o sul 5G che servirebbe a a farci morire tutti non siano letti. A detta sua, una «piattaforma spagnola di content marketing che mette in contatto gli inserzionisti pubblicitari» servirebbe a ottenere «l’ottimizzazione SEO per raggiungere la massima visibilità possibile». Il Seo una tecnica che prevede l'inserimento di parole chiave specifiche nel testo per cercare di uscire tra i primo posti suoi motori di ricerca, anche se pare evidente che ad essere valorizzati saranno i contenuti commissionati e non i suoi articoletti, ammesso non speri che la pubblicità possa far da traino ai contenuti nonostante solitamente si parta dal presupposta che debba verificarsi la situazione opposta. E ancor meno si capisce su quali basi la signora metta in relazione la visibilità ottenuta dalla pubblicità con il suo raccontare che lei verrebbe censurata da algoritmi cattivi e che lei sarebbe la vittima di «penalizzazioni dei social e dei motori di ricerca orientati verso il cosiddetto politically correct e la censura di Facebook e Twitter». Insomma, sarebbe colpa loro se non se la fila nessuna e se persino la pubblicità avrebbe risultati migliori dei suoi articoli.
Sostenuto che elei farebbe tutto «nel massimo della trasparenza» perché al termine dell'articolo scriverebbe in piccolo che qualcuno l'ha pagata per scrivere quelle cose, la signora non ci spiega l'attinenza tra quel suo lungo preambolo e il suo aver accettato di pubblicare articoli a pagamento che promuovessero attività di pirateria informatica. Ed è qui che inizia a insultare Gayburg quasi ritenesse l'insultare chi ha osservato un dato di fatto possa distogliere l'attenzione da quel fatto:
Non facciamo nulla di diverso rispetto a quello che fanno tutti i siti di informazione con un’audience – dai più grandi ai medi – con la differenza che noi indichiamo al lettore e a chi volesse usufruirne, la presenza di questo servizio all’interno delle pagine di servizio, in basso. Il tutto, con la massima trasparenza che ci contraddistingue da sempre. Quella che non ha chi agisce nell’ombra, nel tentativo di restare anonimo per poter reiterare condotte illecite e diffamatorie. Vediamo, infatti, cosa è successo giorni fa.
In realtà altri siti indicano i contenuti sponsorizzati in testa all'articolo e non in una righetta scritta al termine che risulta visibile solo a chi arriva al termine dell'articolo, non tanto per legge ma per etica. È infatti nel rispetto del lettore che i siti seri segnalano che qualcuno li ha pagati per scrivere quelle cose prima che le si legga. Ed ancora, neppure questo ci spiega perché abbia deciso di accettare soldi per linkare un sito dalla dubbia legalità.
Rancorosa come suo solito, la signora inizia a scrivere che noi saremmo responsabili di «reiterare condotte illecite e diffamatorie». Peccato che nella Procura in cui dice di averci denunciato non risulti alcuna nostra iscrizione al registro degli indagati e che sia la Costituzione a sancire che tutti sono innocenti sono a prova contraria: il fatto che lei si inventi delle false condanne non le permette di proporle come un dato di fatto mentre va in giro a sbraitare che lei avrebbe in mano una tessera da giornalista (che tutti noi ci auguriamo possa essere strappata al più presto da chi di dovere).
Inizia così un paragrafo in cui la "giornalista" per cui il Coronavirus può essere guarito con una aspirina si mette a dichiarare che noi saremmo «un sito di disinformazione» che «ha tentato di distorcere la collaborazione» con la piattaforma da lei usata per vendere articoli su commissione. Il suo insultarci e distorcere la verità dei fatti non cambia la realtà: noi abbiamo riportato un dato di fatto e saranno i lettori a decidere se quell'atto sia lecito o se sia eticamente discutibile. E di certo le sua pruriginose fantasie non la legittimano a scrivere:
Riepilogando, puntare sul content marketing, consente a [nome sito della Bartucca] di mantenere la propria autonomia. Perché? Perché non riceviamo fondi, finanziamenti e qualunque altro tipo di utilità da partiti, associazioni, aziende, organismi pubblici e privati, all’Italia come all’estero. A differenza di chi ha la mano sempre tesa, non chiediamo neppure donazioni. Nonostante questo, un sito di disinformazione pluri-querelato in grado di farsi notare solo tramite gli attacchi all’altrui reputazione, ha scritto di “contenuti a pagamento pubblicati come se fossero notizie”, accusando per giunta [nome sito della Bartucca] e Publisuites (che smista e valida le richieste) di “pirateria informatica”.
Qui bisognerebbe decidere se Zaira Bartucca stia mentendo e dichiarando il falso in maniera consapevole o se sia così ignorante da non riuscire a comprendere semplici frase scritte in italiano. In entrambi i casi, pare grave il suo inventarsi false accuse a scopo prettamente diffamatorio, dato che nessuno l'ha accusata di "pirateria informatica" come lei sostiene nella sua propensione a spacciarsi per la vittima. E non va meglio nel suo proseguire con altre affermazioni false e calunniose:
Le accuse provengono da un dominio che dal 2004 al 2016 ha ospitato un sito pornografico (LOL)
La pirateria – a detta del sito che ha costruito i propri numeri sul fatto di derivare da un sito pornografico – consisterebbe nel fatto di aver ospitato un link esterno considerato sicuro e affidabile da Publisuites, e di “aver fatto soldi” (meno di 80 euro lordi), da due redazionali correttamente indicati come “sponsorizzati”. Attacchi sterili dettati dall’invidia e dalla frustrazione che contraddistingue il personaggio, ma soprattutto accuse infondate e ingiustificate, di cui il gestore del sito di disinformazione sarà chiamato a rendere conto a tempo debito.
Se non mancano quelle sue solite minacce intimidatorie che contraddistinguono la sua condotta, la signora torna ancora una volta a dare esplicita dimostrazione di come lei si inventi le cose e le propaga come se fossero fatti oggettivi (il che non è certo un bel biglietto da visita per una che dice di fare la "giornalista").
Se è curioso che il «link esterno considerato sicuro e affidabile da Publisuites» l'abbia portata a includere una nota in calce all'articolo in cui dice che lei non si assume la responsabilità per quel link, resta il dato di fatto che è lei ad aver proposto ai suoi lettori un articolo che incita a guardare film su piattaforme illegali. Il problema non è nostro: è suo, dato che è lei a perderci la faccia. E riguardo al resto, pare di per sé diffamatorio ache solo il suo sostenere che noi proveremmo «invidia» verso di lei, dato che è evidente che siano ben altri i sentimenti che ci genera la sua condotta e il suo stile di vita.
Dopo dopo averci costretti a farle notare che nella classifica di Alexa il suo sitarello si colloca 8 milioni e 800mila posizioni sotto il nostro visto che lei raccontava falsamente che il suo sitarello fosse molto più seguito del nostro, è forse divorata dall'invidia per quei dati oggettivi che la troviamo ad inventarsi che Gayburg «ha costruito i propri numeri sul fatto di derivare da un sito pornografico». Peccato che la signora stia dicendo solo tante bugie.
Il dominio "gayburg.com" è stato acquistato ed introdotto nel 2019, motivo per cui è imbarazzante che la signora continui ad attaccarci per i contenuti che venivano pubblicati quando il dominio era di proprietà di una società canadese e noi operavamo su un dominio nato con il nostro sito. Gayburg è infatti nato nel 2005 sulla piattaforma Blogger ed era ospitato dal dominio che Google fornisce agli utenti. Ben prima dell'acquisizione del nostro attuale dominio, è già nei primo mesi di vita che Gayburg è stato segnalato da siti noti come QueerClick o il francese Oh la la Mag, iniziando a conquistare autorevolezza agli occhi dei motori di ricerca. Da lì in poi, siamo cresciuti e abbiamo collezionato citazioni da autorevoli fonti come il Tg3, Giornalettismo, L'Espresso, Il Corriere delle Sera, Il Fatto Quotidiano, Next Quotidiano, Gay Star News, Melty Buzz, Fanpage, Io donna, Il Giorno, Il Dolomiti, La Provincia, Coming Soon, Open e persino Il Populista. Dal 2014 siamo anche stati candidati annualmente come miglio sito lgbt ai Macchianera Internet Awards, sempre proponendoci con un sottodominio di "blogspot.com" (che peraltro penalizzava la nostra visibilità sui motori di ricerca in quanto ricoducibile ad una piattaforma gratuita). Qualora alla signora servissero dei disegnini per comprendere quei semplici dati di fatto, ecco le nomination che abbiamo ricevuto sin dal primo anno in cui il più importante premio internet d'Italia ha introdotto una categoria dedicata ai siti lgbt:
In che modo avremmo ottenuto traffico da un dominio che è stato acquistato ed introdotto solo nel 2019, ossia dopo aver ottenuto quei riconoscimenti?
La situazione non migliora con il suo sostenere che l'aver acquistato un sito schedato come "per adulti" ci avrebbe avvantaggiato quando è evidente che sia stato penalizzante visto che si sono dovuti "rieducare" i motori di ricerca per evitare classificassero in maniera errata i nostri articoli. E chi glielo dirà ora che le persone che lei accusa di «agire nell’ombra» sono stati invitati ad eventi di gala ed hanno sterro la mano a personaggi internazionali visto che noi non abbiamo nulla da nascondere (il che non significa che si debbano fornire dati personali che la legge prevede non le siano dovuti dopo che lei ha dato prova della sua propensione a comunicarli ai gruppi neofascisti).
Società come Google e Discovery hanno i nostri dati, la polizia postale da noi contattata per segnalare il suo operato ci ha assicurato di averne pieno accesso e persino il Presidente Mattarella ne ha ricevuto una copia...
Proseguendo nella sua attività diffamatoria, la signora inizia ad accostarci a quei siti d'azzardo che risulterebbero gli unici disposti a pagarle per pubblicare qualcosa su quel suo sitarello. E dato che lei ama inventarsi false accuse di pedofilia, immancabile arriva un riferimento ad imprecisati «siti di incontri tra uomini maturi e ragazzine». Scrive:
Le richieste sospette Negli ultimi mesi Rec News ha inoltre ricevuto (e declinato) diverse richieste sospette di redazionali, tramite mail e tramite lo stesso Publisuites. In molte di queste venivano richiesti publi-redazionali riguardanti il gambling (il gioco d’azzardo), in altri la sponsorizzazione di integratori assimilabili al doping, in altri la pubblicità a siti di incontri tra uomini maturi e ragazzine. La Redazione ha, ovviamente, declinato ogni richiesta di publi-redazionale potenzialmente riconducibile alla vendita di prodotti illegali o alla sponsorizzazione di pratiche e comportamenti contrari alla normativa vigente. La politica di [nome sito della Bartucca] esplicitata da Publisuites e da Getfluence è infatti chiara: non si accettano richieste che riguardano siti di incontri, giochi d’azzardo, pornografia, droghe, vendita di alcoolici, farmaci e articoli sanitari e qualunque prodotto derivato da mercato illecito o illegale, oppure testi in grado di turbare il minore.
Già, però poi accettano soldi da un sito che permette di guardare film in streaming senza pagare i diritti d'autore. Ma dato che la signora ama lanciare illazioni basate sul nulla, conclude:
A seguito dell’attacco del sito di disinformazione e considerato il mancato pagamento di due redazionali (rimborsati dalla piattaforma) è forte il sospetto che dette richieste declinate abbiano a che fare con il mandante della campagna diffamatoria che dal 2018 – anno della pubblicazione di [nome sito della Bartucca] – danneggia questo sito e il suo direttore, ormai con quasi 150 articoli. Per questa ragione, [nome sito della Bartucca] ha deciso che metterà a disposizione delle autorità le mail ricevute, onde permettere opportune verifiche.
Quale sarebbe il nesso tra le offerte commerciali che le vengono recapitate da chicchessia e l'averci costretto a scrivere innumerevoli articoli con cui sbugiardare la sue bufale? Davvero sarebbe colpa nostra se lei si è inventata false accuse si pedofilia che è stato un nostro dovere smentire? E sarebbe colpa nostra anche dei falsi nomi che si è inventata di sana pianta o dei falsi che spergiura anche se falsi?
Se la signora dice di sentirsi danneggiata dalla verità, forse farebbe meglio a prendere in considerazione l'ipotesi di cambiare lavoro.
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