Sopravvissuto alle "terapie riparative" denuncia quanto subito: «Mi hanno rovinato la vita»


Le fantomatiche "riparative dell'omosessualità" sono torture psicologiche prive di qualunque scientificità, che sostengono che incutere un senso di disprezzo verso sé stessi alle loro vittime possa "curare" i gay perché li spingerà a rinnegare la natura e a fingersi eterosessuali. Nonostante siano innumerevoli gli adolescenti che sono stato spinti al suicidio da quell'odio, in Italia vengono ancor oggi promosse sui palchi dei comizi di Adinolfi, nelle scuole cattoliche dalla setta di Riccardo Cascioli e dai frati cappuccini di Bergamo con il contributo della solita Silvana De Mari.
Nel Regno Unito, l'argomento è tornato di attualità con la speranza che quelle violenze possano essere vietate per legge. Se quasi 400 uomini religiosi hanno chiesto al premier Boris Johnson di fermare quei crimini, è dalle frequenze di STV che lo scozzese Justin Beck ha voluto raccontare quanto da lui subito:

La linea che mi era stata data era quella di avere fede, dovevo solo avere fede. Così è stato dai 17 ai 23 anni, poi mi sono reso conto che la cosa non funzionava, sentendomi ripetere che non avevo abbastanza fede, era come prendere un pugno in faccia.

Per sei anni Justin ha dovuto sopportare pratiche simili all’esorcismo, subendo quella prassi che serviva a portarlo ad odiarsi:

All’età di 23 anni mi sono ritrovato con un’autostima assolutamente nulla, mi odiavo, odiavo tutto di me stesso, camminavo a testa bassa, non mi guardavo allo specchio o alle finestre, odiavo tutto di me. C’è voluto molto tempo per rimettermi in sesto, ricostruire la mia vita.

L'intera comunità scientifica è unanime nel condannare quelle torture, sottolineando peraltro che si tratta di teorie pseudoscientifiche basate su assunti deliranti. Ma in gran parte del mondo sono i gruppi religiosi a difenderle, anche perché il fatturato che ne traggono è secondo solo al commercio di armi visto che l'omofobia e l'odio risultano un lucroso business per numerosi criminali in abito talare.
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