Il negazionista pentito dopo il ricovero per Covid


Ha 54 anni e lavora come tecnico informatico in tribunale. Peccato fosse un accanito negazionista del Covid, fino a quando non se l'è beccato e ha incominciato a crederci.


Resta però un dubbio: quante persone avrà infettato col suo rifiuto ad indossare la mascherina? E se lui di salverà, verrà almeno chiamato a rispondere di chi ha pagato il prezzo del suo negazionismo e magari rischierà pure di morire?

Fatto sta che ora dichiara: «Sono attaccato all'ossigeno ma respiro ancora male. La polmonite c'è. Sul Covid-19 non avevo capito niente o non volevo capire niente. Rifiutavo inconsciamente l'idea che la pandemia fosse grave, minimizzavo culturalmente l'emergenza sanitaria. Per rendersi conto davvero di ciò che stiamo vivendo bisogna passarci [...] Appena arrivato in ospedale, prima ancora di andare in camera, ho visto passare davanti a me sette codici rossi per Covid, cioè sette persone gravissime che avevano la precedenza. Lì, in quel momento, mi sono detto che ero stato fuori dal mondo, cieco di fronte alla realtà. Forse è anche brutto dirlo e nemmeno giusto ma per rendersi conto davvero di ciò che stiamo vivendo bisogna passarci. Ho visto che non c'era nulla di inventato in quelle immagini televisive degli ospedali stracolmi, delle terapie intensive al collasso, degli ospedali da campo, della gente che muore. Sto cercando di capire perché rifiutavo di accettare l'allarme per il Covid-19. Forse non condividevo la gestione dell'emergenza, pensando che ci fosse un altro modo, e questo mi portava a non dare reale importanza alla pandemia». «Non mettevo la mascherina fuori dal lavoro, la ritenevo inutile, una recita, anche se non avevo comportamenti contrari alla legge. All'esterno semplicemente non la mettevo per scelta. Ma solo ora, qui, ho capito che sbagliavo».
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