Il leghista Fontana detiene il record di morti, ma Salvini incolpa il governo mentre sbraita: «Sulla pandemia non si fa politica»

Se ormai pare evidente che Salvini non riesca ad essere coerente con sé stesso per più di mezzo minuto, stupisce che i suoi elettori non di sentano presi in giro e paiano felici sentirlo sbraitare invettive a casaccio. Ed è così che il padano si è presentato ad Otto e mezzo a urlare che i morti da Coronavirus sarebbero colpa del governo. Poi pazienza se il record dei morti è nella sua Lombardia leghista, dove Fontana viene graziato dopo aver condannato milioni di cittadini a non poter lavorare perché non è riuscito a calcolare l'indice RT corretto.
Quando la conduttrice gli ha ricordato che lui non ha aiutato con il suo negare una seconda ondata e il suo invitare a non indossare la mascherina, non ha esitato a uscirsene con un: «Sulla pandemia non si fa politica». Peccato che lui sulla pandemia ci sta basando proprio la sua campagna elettorale, investendo denaro e risorse sul negazionismo di chi invita gli egoisti a fregarsene delle regole. Ed è a fregio delle sue affermazioni che Salvini infatti se n'è subito uscito dicendo: «Però l'Italia è tra i grandi paesi al mondo quello con più morti e con più disoccupati».
Il padano, sta stava scaldando i motori per le sue solite supercazzole congtro il Governo, è piombato in un imbarazzante silenzio quando la Gruber gli ha ricordato «che il record del numero di morti in Italia ce l'ha la Regione Lombardia gestita da Fontana amico nonché leghista». Non sapendo più che dire dato che gli era andata male nel proposto come il giustizialista che chiedeva punizioni prima di scoprire che la responsabilità era del suo partito, è partito con i soliti ringraziamenti al governatore della regione, ai sindaci e alle «fedi religiose» pur di non rispondere.
Surreale è anche la teoria di Salvini per cui «il governo Conte l'ha fatto nascere Renzi». Strano, perché i fatti dicono che a farlo nascere sia un Salvini che all'ombra del Papeete ha innescato una crisi di governo perché non gli avevano consegnato i «pieni poteri» che pretendeva.

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