Giorgio Minisini: «Sono etero, ma ho sempre dovuto dimostrare di non essere un fenomeno da baraccone»
Giorgio Minisini, già vincitore di sei medaglie mondiali e quattro europee, è entrato nella storia del nuoto sincronizzato diventando il primo uomo ad aver ottenuto una medaglia d'oro in solitaria. Intervistato da Repubblica, Minisini ha raccontato di essere stato vittima di omofobia anche se eterosessuale, pagando il prezzo di essersi cimentato in uno sport storicamente praticato quasi unicamente da donne:
Ricordo di aver sempre dovuto dimostrare qualcosa. Anche sulla sessualità, quand’ero bambino, ho sempre dovuto dimostrare quello che ero, sebbene fossi certo del mio essere etero. L’espressione gay per me non è un’offesa, e nemmeno una presa in giro. Io l’ho superata perché non lo ero, ma ho sempre dovuto dimostrare di non essere un fenomeno da baraccone. Dimostrare di valere qualcosa, di poter dire qualcosa, di poter fare qualcosa. La minaccia della presa in giro faceva sì che non mi esponessi: scuola, amici, sport. Attenzione, niente di così tragico, ma la sofferenza c’è stata. Superata solo quando ho capito che era una parte di me e l’ho accettata. Ho avuto più stima di me, e mi ha aiutato tanto.
Se vogliamo una società più bella dobbiamo accettare di essere come siamo: non scegliamo dove, come e quando nascere. Ma quello che siamo, lo siamo noi. L’essere macho, la virità dell’uomo, non esiste più: ogni uomo, ogni donna, può essere il massimo semplicemente com’è. La bellezza non ha genere.
Già nel 2018 Minisini parlò del bullismo omofobico subito:
A sei anni ho iniziato i primi allenamenti nel nuoto sincronizzato. Alle elementari nella mia classe erano tutti stupiti e chi sapeva della mia passione mi diceva ridendo che ero quello che si truccava, che ballava. Ho provato a giocare a calcio, sono andato avanti per un mese ma non mi piaceva, io volevo danzare in acqua. Al liceo mi chiamavano ‘sincrofrocio’. Mi faceva male, tanto. Lo sport che avevo sceltro per gli altri era legato al mio orientamento sessuale. Ci imbrigliano in ruoli che non sentiamo nostri. Volevo mollare tutto, poi ho riflettuto e ho capito che non era giusto regalare a chi mi bullizzava la mia felicità. L’insulto a caldo fa male, ma oltre la reazione di pancia dev’esserci quella di testa. Se avessi mollato chi mi prendeva in giro avrebbe trovato un altro modo per offendermi: potevano essere l’apparecchio o i capelli lunghi. Io dico chiamami come ti pare, ma io sono felice.
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