Il vescovo Regattieri è tragicomico mentre gioca a fare il giurista sostenendo che le persone trans sarebbero incostituzionali

Il vescovo Regattieri è tristemente noto per la sua ostentata omofobia. Non stupisce, dunque, che l'organizzazione forzanovista Provita Onlus sia andato ad intervistato all'interno della sua campagna a difesa dell'istigazione all'odio.
Ma pare tragicomico che il vescovo si sia messo a giocare a fare il giurista, dicendo che lui ha la pretesa di voler decidere che cosa debba dire legge italiana contro i diritti dei cittadini. In particolare, dice che a lui non sta bene che si dica che è sbagliati picchiare a sangue una donna trans se non si è fatta operare. Insomma, la solita ossessione del clero per i peni e le vagine. Dice il vescovo:

La definizione di identità di genere che il ddl Zan offre è la seguente: identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione. Come è noto, la legge italiana riconosce l’esistenza di due sessi e prevede la transizione dal sesso di nascita a quello opposto. Da qui la necessaria modifica anagrafica e l’accertamento giudiziale. Ciò significa che per la legge italiana non è sufficiente una dichiarazione della persona circa la sua identità di genere, ma è necessario l’accertamento giudiziale dell’effettiva esecuzione del cambiamento del genere. Tutto ciò può sfuggire ad ogni tipo di controllo anche da parte della magistratura. Nel testo del ddl è evidente quindi che viene meno ogni chiarezza e stabilità circa la realtà della propria sessualità. In altre parole, si scavalca bellamente ciò che affermano autorevolissimi interventi legislativi come la nostra Costituzione (art. 3), la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (che non menziona i termini come “genere” e “identità di genere”) e la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Chi non comprende la pericolosità e l’assurdità di affidare al proprio “sentire” l’identità di genere?

Ma dove avrebbe letto che l'articolo 3 della Costituzione preveda uguali diritti solo per chi è conforme alle sue teorie sessuali? Casomai, è il fatto che lui non paghi l'Ici a costituire una inaccettabile discriminazione della popolazione!

Ma l'intervista degenera. Davanti ad un intervistatore che gli chiese se "sarebbe concepibile, a suo avviso, un disegno di legge contro le discriminazioni sessuali, depurato dalle forzature ideologiche che lei denuncia?", lui risponde:

Non ho le necessarie competenze giuridiche per rispondere alla domanda. Faccio semplicemente riferimento al buon senso e penso di poter dire che sarebbe sufficiente osservare quanto già le nostre leggi stabiliscono in materia di discriminazione (vedi Legge Mancino). Mi pare che con l’introduzione del ddl Zan si aprano strade infinite e pericolose a molteplici interpretazioni. Con l’intento di evitare discriminazioni, in realtà si introducono altre discriminazioni in riferimento alla privacy e all’identità se quest’ultima è lasciata al libero e individuale “sentire”.

E qui cadono le braccia. Il vescovo sostiene che basti la Legge Mancino, evidentemente ignaro di come il ddl Zan non faccia che estendere solo una minima parte della Legge Mancino anche alle vittime di odio dettato dall'idenità di genere e dall'orientamento sessuale. Ed ha anche un po' rotto la retorica di chi dice che ciò che non piace Gandolfini sarebbe "ideologico" in virtù di come il professore che non riesce ad ingravidare sua moglie si proclami il detentore supremo della verità divina sulle penetrazioni vaginali.

L'intervista prosegue con il presule che inizia a starnazzare istericamente che lui considera «gli atti omosessuali come intrinsecamente disordinati» e che la legge dovrebbe imporre ai gay l'obbligo di non fare sesso:

Quando si cita questo passo del Catechismo non lo si fa per infliggere delle colpe o dare dei giudizi negativi di merito; lo si fa per essere fedeli a una sana antropologia. Tuttavia, è bene aggiungere subito che, in merito alla situazione di questi nostri fratelli, pur vivendo questo “disordine” non colpevole, essi possono, con l’aiuto della Grazia, vivere bene, persino perseguire un cammino di santificazione. Questo secondo aspetto spesso è trascurato. Ritengo invece che sarebbe bene sottolinearlo. Solo così questi fratelli possono aprirsi alla speranza, alla gioia e alla serenità interiore. Dobbiamo, con forza e con coraggio, non limitarci a dire che queste sono situazioni di disordine morale, ma citare anche altri due testi, ai più sconosciuti, in riferimento al perseguimento della santificazione personale e della virtù della castità. Io non l’ho fatto nella mia lettera per non dilungarmi eccessivamente; ma qui lo aggiungo: “I fedeli anche nel nostro tempo, anzi oggi più che mai, devono adottare i mezzi, che sono stati sempre raccomandati dalla chiesa per vivere una vita casta: la disciplina dei sensi e dello spirito, la vigilanza e la prudenza nell’evitare le occasioni di peccato, la custodia del pudore, la moderazione nei divertimenti, le sane occupazioni, il frequente ricorso alla preghiera e ai sacramenti della penitenza e dell'eucaristia. I giovani, soprattutto, devono preoccuparsi sviluppare la loro pietà verso l'immacolata Madre di Dio e proporsi, come esempio da imitare, la vita dei santi e degli altri fedeli, specialmente dei giovani, che si sono distinti nella pratica della castità” (Persona humana, 12). “Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un'amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2359).


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