La Cassazione: «La libertà religiosa non può essere pretesto per condotte discriminatorie»


La libertà religiosa non può essere il pretesto per condotte apertamente discriminatorie. Così la Cassazione ha confermato in terzo grado la condanna di un istituto cattolico di Trento che nel 2014 licenziò una professoressa solo perché lesbica.

«Sono stata convocata dalla madre superiore a contratto scaduto. Mi ha domandato del mio orientamento sessuale perché secondo lei giravano le voci che io avessi una compagna. E voleva che le dicessi se era vero, altrimenti avrebbe avuto difficoltà a rinnovarmi il contratto», raccontò la professoressa nel 2014. La madre superiora confermò di aver scelto di bloccare il contratto per «tutelare l’ambiente scolastico», asserendo che «la scuola cattolica ha una sua caratteristica e un insieme di aspetti educativi e orientativi: a noi sembra di doverla difendere a tutti i costi».
Il 7 marzo 2017, la Corte di appello di Trento accertò che la condotta delle suore era stata discriminatoria e aveva condannato l’Istituto religioso a pagare 30 mila euro di danni morali e 13.329 di danni patrimoniali alla docente, a cui si sommavano diecimila euro alla Cgil del Trentino e altri diecimila all’Associazione radicale Certi diritti.
Ora la Cassazione conferma la sentenza di appello e condanna l’Istituto a pagare ulteriori 9.870 euro di spese legali.

«Anche nelle organizzazioni religiose le persone hanno il diritto di vivere liberamente la propria vita privata e di vedersi rispettate nella propria dignità. La decisione della Cassazione contrasta nettamente con la valutazione fatta dall’allora Presidente della Provincia autonoma di Trento Ugo Rossi, che indagò i fatti e concluse che non sussistevano illeciti e che nessun provvedimento doveva essere assunto nei confronti di una scuola convenzionata per il servizio pubblico. Oggi sappiamo che non è così» ha commentato l’avvocato Schuster.
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