Salvini rivendica con orgoglio la sua citofonata, ma non dice che lui ha solo rallentato indagini già in corso


In questi giorni Matteo Salvini è tornato a vantarsi della sua celebre citofonata ad una famiglia di presunti spacciatori, sostenendo che il loro successivo arresto debba essere considerata come una sua grande vittoria politica e personale. D'altronde è chiaro nel lasciar intendere che l'arresto di un cittadino straniero è per lui fonte di inesauribile gioia.
Peccato che il suo racconto non sia del tutto esatto: la sua telefonata non ha consegnato nessuno alla polizia, ma ha solamente rallentato le indagini che erano già in corso. D'altronde, se avesse davvero voluto essere d'aiuto, sarebbe andato dalla polizia e non certo sotto la casa degli indagati con una truppe di giornalisti convocati per il suo solito teatrino elettorale.

La moglie dell’uomo arrestato e madre del giovane ricercato ha raccontato quali sono tate le conseguenze dell'incursione di Salvini sulle loro vite: «Io ho avuto un infarto pesantissimo e mi sono ammalata di una forma grave di diabete. Mio marito ha perso improvvisamente il lavoro e nessuno lo assume più, si è ammalato. Mio figlio Yaya, all’epoca adolescente, è stato costretto a troncare la sua carriera calcistica e a lasciare gli studi. Le mie figlie erano distrutte dal dolore».
Ovviamente è facile immaginare che Salvini dirà che lui non ha problemi a rovinare la vita ai presunti delinquenti, sempre che non sia quel suo amico spacciatore a cui stringeva la mano o quei suoi tanti parlamentari che hanno avuto grane con la giustizia.
Ma ciò non cambia i fatti: Salvini non aveva alcun diritto di andare da una famiglia che non era indagata a lanciare accuse in diretta televisiva. E se ancora si vanta di quel gesto, forse farebbe meglio a non sostenere quei suoi referendum che servono a tutelare chi è stato già condannato ma vuole continuare a fare politica.
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