A nome del mondo, Mario Adinolfi martirizza la figlia di Dugin: «Vittima del terrorismo globalista»


Mario Adinolfi ha passato anni a dire che i gay erano mafiosi perché manifestavano l'inaccettabile pretesa di avere i suoi stessi diritti da maschio eterosessuale bianco sposato con due mogli. Oggi dice che anche gli ucraini sarebbero dei mafiosi perché si oppongono a chi vuole prendersi le loro case dopo aver stuprato le loro figlie.



Strepitoso è il suo usare la locuzione "ufficializza da fonti di intelligence" per avvalorare voci da bar. Peccato che il suo citare fonti anonime renda evidente che di "ufficiale" non ci sia proprio un bel nulla, anche se lui vuol far credere il contrario. E non va meglio con il suo tentare di negare che sia il suo amatissimo Putin ad aver massacrato centinaia di migliaia di ucraini in territorio ucraino, anche se lui preferisce sostenere che una sola vittima a danno dell'ideologo dell'invasione dovrebbe dare ragione ai crimini del suo Putin.

Ed è fantastico come Adinolfi abbia ripetutamente sottolineato che a lui non gliene fregava nulla se un supremarista bianco in uniforme aveva ucciso un George Floyd, ma lui ora non dormirebbe la notte pensando a quanto ritiene ingiusto che un popolo in guerra possa aver ucciso chi incitava al loro sterminio.
Inoltre è altrettanto contraddittorio il suo sostenere che dovremmo credere agli americani solo quando gli fa comodo, proponendosi come il "giornalista" che sceglie a chi credere secondo convenienza. E così oggi la stampa americana diventa degna di fiducia, ma diceva non lo fosse quando denunciava le responsabilità russe negli orrori di Bucha.
Inoltre il New York Times non ha detto esattamente ciò che Adinolfi gli attribuisce, dato che il quotidiano si è limitato ad affermare che gli Usa si dichiarano estranei ai fatti. Cosa peraltro scontata, dato che nessun servizio segreto si attribuirà mai un attentato anche se ne è il responsabile.
I funzionari americani non hanno rivelato quali elementi del governo ucraino sarebbero i presunti mandanti dell'omicidio della Dugina o se il presidente Voldymyr Zelensky fosse al corrente. Alcuni ritengono, inoltre, che il vero obiettivo dell'attentato fosse il padre, ossia l'ultranazionalista Dugin che da anni esorta Mosca a intensficare la sue guerra contro l'Ucraina dopo aver fornito armi ai guerriglieri.
Il consigliere di Zelensky, Mykhailo Podolyak, ha ribadito che il governo di Kiev non è coinvolto nella morte della figlia dell'ultranazionalista, ma Adinolfi non pare curarsene perché quella versione non gli darebbe ragione.

Alquanto osceno è anche come Adinolfi sostenga di parlare a nome del mondo intero o come presenti la figlia nazista di Dugin come una martire, definendola «vittima del terrorismo globalista». Ed è un peccato che Adinolfi si sia fermato lì, perché pareva ad un passo dal chiedere che il Nobel per la pace fosse assegnato a Dugin o a Putin.
Per mostrare il suo incondizionato amore per Mosca, tenta persino di suscitare compassione per la sanguinaria neonazista, presentandola come una povera ragazzina inerme che era tanto brava, anche se poi andava in televisione ad urlare che gli ucraini andavano sterminati.
Commenti