Adinolfi difende i criminali della X Mas, protagonisti di torture ed eccidi a fianco dei nazisti
Sono ormai giorni che Mario Adinolfi non fa che parlare di Enrico Montesano e della sua doverosa esclusione da Ballando con le Stelle. Dopo essersi inizialmente inventato un surreale complotto in cui tentava di sostenere che lo avrebbero "punito" perché no-vax e promotore di bufale antiscientifiche, ieri si è finalmente accorto che il problema è stato il suo essersi presentato su Rai 1 con una maglietta fascista della Decima Mas. E così oggi, infrangendo ogni limite della decenza, tenta di difendere la formazione militare che fu protagonista di torture ed eccidi a fianco dei nazisti e che ancor oggi è un simbolo della destra neofascista italiana:
In quella sua abitudine ad insultare tutti e a sostenere che lui sarebbe il detentore del sapere assoluto, il fondamentalista si lancia a sostenere che chi non celebra «giustamente» quei criminali non conoscerebbe la storia. Ovviamente inveisce anche contro la Lucarelli, dato che pare aver adottato quel "noi contro loro" che fi alla base dell'intera propaganda nazifascista, asserendo che le sue non sarebbero opinioni ma "spiegazioni" dato che lui si ritiene il detentore della verità divina.
Eppure la storia parrebbe dargli torto. La X Mas fu una formazione militare agli ordini diretti prima di Benito Mussolini che si schierò al fianco delle truppe naziste dopo l’armistizio dell'8 settembre 1943. Furono responsabili di torture, fucilazioni, rastrellamenti, furti e saccheggi.
Il loro capo, Junio Valerio Borghese, fu condannato al termine della guerra per le feroci «azioni di rastrellamento» perpetrate dai suoi uomini nei confronti dei partigiani e in generale degli oppositori con «la cattura, le sevizie particolarmente efferate, la deportazione e l’uccisione degli arrestati».
Il 29 luglio 1944, i militari celebrato da Adinolfi oimpiccarono il partigiano Ferruccio Nazionale nel centro di Ivrea, appendendogli al collo un cartello con scritto: “Aveva tentato con le armi di colpire la Decima”. Il cadavere di Nazionale, che aveva subito torture, fu lasciato in piazza perché tutti i cittadini potessero vederlo.
La Flottiglia X-Mas, che rispondeva a Mussolini più che al re d'Italia, fu affidata al comandante Junio Valerio Borghese nel 1942. Nato a Roma nel 1906, Borghese apparteneva a una delle più famose famiglie nobili italiane, molto legata alla Chiesa. Convintamente fascista, militare inquadrato nella Regia Marina, combatté da volontario in Spagna alle dirette dipendenze di Francisco Franco.
Dopo l'armistizio dell’8 settembre 1943, Borghese schierò la X Mas al fianco dei tedeschi e decise di continuare la guerra contro gli alleati e i partigiani. La formazione adottò il simbolo del teschio che stringe tra i denti una rosa.
Borghese iniziò a prendere ordine direttamente dai comandi nazisti. La formazione, a cui aderirono nuovi anche molti minorenni, fu utilizzata in azioni antipartigiane e in rastrellamenti di civili in diverse zone del Nord Italia.
Il prefetto fascista di Milano, Mario Bassi, inviò un messaggio a Mussolini in cui si lamentava dei “furti, rapine, provocazioni gravi, fermi, perquisizioni, contegni scorretti in pubblico”. Bassi spiegò che la X Mas terrorizzava la popolazione e che i saccheggi e i furti rimanevano impuniti perché gli appartenenti alla formazione di Borghese erano protetti dai nazisti. Bassi chiese che la X Mas venisse allontanata da Milano.
In particolare era la Compagnia O a essere attiva in operazioni di polizia e rastrellamento. Il gruppo era comandato da Umberto Bertozzi, divenuto celebre anche perché incideva o faceva incidere con un coltello una grande X sulla schiena delle persone interrogate. A Forno, una frazione di Massa, il è nel 1944 che la Compagnia O partecipò con le SS tedesche all’uccisione di 68 persone. A Borgo Ticino, in provincia di Novara, il 13 agosto 1944, vennero fucilati 12 civili e il paese fu saccheggiato. Altre fucilazioni e saccheggi avvennero a Castelletto Ticino, nella zona di Gorizia e in Piemonte. A Crocetta del Montello, in provincia di Treviso, sei partigiani furono frustati in piazza e ustionati con stracci imbevuti di benzina.
Alla fine della guerra Bertozzi venne condannato a morte ma anche lui fu salvato dall’amnistia.
Il 25 aprile 1945 Junio Valerio Borghese sciolse la X Mas con una cerimonia nella caserma di piazzale Fiume, a Milano. Fu arrestato dai partigiani ma a sua protezione intervennero agenti statunitensi. Fu processato a Roma da una corte presieduta da un giudice che era stato vice presidente dell’Unione fascista per le famiglie numerose. Alla fine la pena fu di 12 anni di carcere, ma venne deciso uno sconto di nove anni.
Liberato quasi subito, l’ex comandante della X Mas si iscrisse nel 1951 al Movimento sociale italiano, il partito neofascista creato da reduci della Repubblica sociale italiana. Nel 1968 fondò il Fronte nazionale, al cui interno agivano anche gruppi clandestini armati. Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 fu messo in atto quello che è passato alla storia come il golpe Borghese che mirava a rapire il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, arrestare i dirigenti dei partiti comunista e socialista, assassinare il capo della polizia e instaurare un governo autoritario e dichiaratamente anticomunista. Fu però lo stesso Borghese, a bloccare il colpo di stato, anche se non spiegò mai il motivo. Fuggì dall’Italia e si rifugiò in Spagna, protetto dal dittatore Francisco Franco.
Tre anni dopo andò in Cile per incontrare il dittatore Augusto Pinochet assieme a Stefano Delle Chiaie, fondatore dell’organizzazione neofascista Avanguardia Nazionale e coinvolto nelle indagini su alcune delle stragi avvenute in Italia tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta.
Questi sono gli "eroi" di Adinolfi, il quale sostiene sia "vergognoso" non inneggiare a quei criminali. E dato che lui ama quel "noi contro loro" che fu alla base della propaganda nazisfascista, si inventa un curioso paragone con le Brigate Rosse. Peccato non ci risulti che qualcuno sia mai andato in televisione su Rai 1 con una maglietta delle BR:
Al solito, Adinolfi ne approfitta per elargire quelle sue sentenze che si basano sul sostener che la sua opinabile visione delle cose sarebbe verità di fede.
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