Provita Onlus all'attacco dell'Istat: a Jacopo Coghe non sta bene si possano fare domande sull'identità di genere
Dopo aver lanciato una campagna colta a chiedere che Giorgia meloni assicuri la sistematica censura delle persone lgbt dalle reti Rai, l'organizzazione forzanovista Provita Onlus attacca pure l'Istat accusandolo di non essere omofobo quanto jacopo Coghe vorrebbe.
Citando la solita "ideologia gender" che esiste solo nella propaganda delle organizzazioni di estrema destra, l'organizzazione integralista scrive:
Noi possiamo pure, ovviamente, non occuparci dell’ideologia gender, ma possiamo stare tranquilli, si fa per dire, di una cosa: l’ideologia gender si occuperà di noi. Verrebbe da commentare ciò che propone, in una sua recente indagine, l’Istituto nazionale di statistica, l’Istat. Sì, perché in tale indagine, come peraltro segnalato da più cittadini all’attenzione di Pro Vita & Famiglia, vi sono almeno un paio di quesiti che, nella loro formulazione, sembrano strizzare l’occhio alle rivendicazioni Lgbt.
Peccato che la fantomatica "ideologia gender" non esista e sia una truffa culturale che Jacopo Coghe usa per spaventare gli sprovveduti, usandola per promuovere discriminazioni contro i gay, contro le persone transessuali e persino contro le donne-
Ad infastidire Jacopo Coghe è il fatto che l'Istat non neghi gli studi di genere 8che nulla hanno a che vedere con la sua fantomatica "ideologia gender") e che voglia cercare di tracciare quelle realtà che le lobby omofobe vorrebbero nascondere sotto al tappeto:
Nel primo, infatti, si indaga l’appartenenza sessuale utilizzando come paradigma l’identità percepita - «Lei si percepisce (sente) dello stesso sesso registrato alla nascita?», è il quesito -, il che non può non suscitare un minimo di perplessità. Il secondo quesito di Istat, tuttavia, appare ancora più esplicito e allineato a linguaggio arcobaleno: «Scriva liberamente il genere a cui si sente di appartenere». Ora, non occorre essere veggenti per immaginare che – in particolare da parte della popolazione più giovane, e quindi più esposta agli slogan e talvolta all’indottrinamento dei mass media e degli influencer - in particolare questo secondo quesito possa risultare insidioso.
Se infatti, per apparire “alla moda” o semplicemente sovrastimando un disagio che si vive, da tale indagine emergesse che, poniamo il caso, il 50% dei giovani sotto i 30 anni non si dichiarasse eterosessuale o si dichiarasse non-binary ecco che – possiamo scommetterci – i vari attivisti e giornalisti pro Lgbt faranno proprio all’istante questo dato, per rilanciare il mantra di un «Paese che cambia», della «società che arriva prima della politica» e via discorrendo, con assolute banalità di questo tipo. Non è perfino escluso che un esito come quello ipotizzato possa far risorgere dalle ceneri l’«urgenza» del ddl Zan: mai direi mai. Chissà.
Se il loro sostenere che le persone non sarebbero eterosessuali "per moda", ancor più patetico è come non nascondano la loro paura davanti a dato che potranno confutare le false statictiche ch eloro amano sbandierare ai quattro venti perché l'assenza di dati pare dargli ragione nel negare le esigenze di numerosi cittadini. E così iniziano a dire che a Jacopo Coghe non sta bene che la domanda possa essere formulata in quei termini:
Quel che è sicuro, tornando all’Istat è che formulare simili quesiti costituisce sempre un rischio ideologico. Per un motivo semplice: è già successo. Basti ricordare quando, nel marzo 2019, fece il giro del web la notizia per cui «secondo la Coop» 4 italiani su 10 «si identificano in una identità piuttosto liquida». Si trattava, allora, dell’esito di questa ricerca, chiamata Uomo o donna? Non saprei e contenente la seguente domanda: «Come definirebbe la sua identità sessuale in una scala da 1 a 10 dove 1 è esclusivamente maschile e 10 esclusivamente femminile?».
Ora, è chiaro che ponendo i quesiti in questo modo si possono solo – per le ragioni poc’anzi esposte – ottenere risultati bizzarri. Il fatto è che, se a farle è l’Ufficio Studi di Coop, di certo composto da personale volenteroso e capace per carità, è un conto, ma se a formularne di simili è l’Istat, la cui autorevolezza non è discussa da alcuno, ecco: è un altro paio di maniche. E si rischia di consegnare ai mass media e ai ultrapoliticizzati movimenti Lgbt un formidabile asso nella manica per tornare a rilanciare la loro assai discutibile agenda.
Peccato che Coghe dica un mucchio di sciocchezze. pensare che l'orientamento sessuale riguardi l'appartenenza politica è una stupidaggine al limite del tragicomico, come pare molto evidente ch elui sia terrorizzato dalla possibilità che i dati dimostrino che la sua ideologia è minoritaria e che la società rigetta le sue teorie omofobe.