Il pastore evangelico Carollo usa la bimba vittima di stupro per incitare all'odio razziale


Quando non è impegnato a incitare odio contro i gay, il pastore evangelico Luigi Carollo pare intenzionato a promuovere odio razziale. In quella sua abitudine a predicare tutto ciò che dice l'estrema destra, è scimmiottando Pillon e Nicola Porro che scrive:



Curioso vero? Quando due cuginette di 12 e 10 anni sono state violentate da un gruppo di adolescenti italiani, la colpa non era dei loro connazionali. Ma se il reato è stato commesso da immigrati, il pastore invita a rinnegare l'invito all'accoglienza predicato da Gesù per sostenere che intere etnie andrebbero incolpate per i fatti. Ed è davvero poco rispettoso verso la vittima il loro cercare di usare fatti gravi per soffiare sul fuoco del razzismo.

Se l'abitudine di Carollo a parlare per slogan rende spesso difficile comprendere il suo pensiero, il riferimento al fantomatico "politicamente corretto" parrebbe riguardare il Pd, opposto a Fratelli d'Italia e a Lega che lui crede siano scorretti verso le minoranze e dunque da elogiare. E forse non sa che è il suo Salvini a definirli "risorse" mentre sfotte chi osserva che di italiani disposti ad andare nei campi a cogliere verdura ne sono rimasti ben pochi.
Poco chiaro è perché dica che avrebbe ragione la destra a dire che bisognerebbe deportare chi non è di pura razza, quasi ritenesse che l'importante non sia fermare i criminali ma mandarli a stuprare cittadine di altri stati.

Tra i commenti troviamo il suo Elia Riveda pronto ad insultare Papa Francesco e a urlare che loro hanno schifo di chi non odia il prossimo:



Peccato che confondano etnia con responsabilità penali individuali. E la loro ideologia ha un nome: si chiama razzismo.

Passando dalla cronaca alla sua omofobia, è sempre citando il fantomatico "politicamente corretto" che il pastore ci cita ancora una volta affermando che lui ha deciso che Sanremo farebbe schifo perché non incoraggia odio e discriminazioni:



Insomma, ogni suo dircirso parrebbe finire inevabilmente in un invito alla discriminazione.
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