Salò o le 120 giornate di Sodoma
Italia, 1975 |
Regia:
Cast:
Paolo Bonacelli (Duca), Giorgio Cataldi (Monsignore), Uberto Paolo Quintavalle (Eccellenza), Aldo Valletti (Presidente), Caterina Boratto (signora Castelli), Elsa De Giorgi (signora Maggi), Hélène Surgère (signora Vaccari), Sonia Saviange (pianista), Marco Lucantoni (prima vittima - maschio), Sergio Fascetti (vittima - maschio), Bruno Musso (vittima - maschio), Antonio Orlando (vittima - maschio), Claudio Cicchetti (vittima - maschio), Franco Merli (vittima - maschio), Umberto Chessari (vittima - maschio), Lamberto Book (vittima - maschio), Gaspare Di Jenno (vittima - maschio), Giuliana Melis (vittima - femmina), Faridah Malik (vittima - femmina), Graziella Aniceto (vittima - femmina), Renata Moar (vittima - femmina), Dorit Henke (vittima - femmina), Antiniska Nemour (vittima - femmina), Benedetta Gaetani (vittima - femmina), Olga Andreis (vittima - femmina), Tatiana Mogilansky (figlia), Susanna Radaelli (figlia), Giuliana Orlandi (figlia), Liana Acquaviva (figlia), Rinaldo Missaglia (collaborazionista - soldato), Giuseppe Patruno (collaborazionista - soldato), Guido Galletti (collaborazionista - soldato), Efisio Etzi (collaborazionista - soldato), Claudio Troccoli (collaborazionista - repubblichino di leva), Fabrizio Menichini (collaborazionista - repubblichino di leva), Maurizio Valaguzza (collaborazionista - repubblichino di leva), Ezio Manni (collaborazionista - repubblichino di leva), Paola Pieracci (ruffiana), Carla Terlizzi (ruffiana), Anna Maria Dossena (ruffiana), Anna Recchimuzzi (ruffiana), Ines Pellegrini (serva nera)
Vedi tuttiGenere:
Grottesco, drammatico, grottesco
Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) è l'ultimo film scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini. Avrebbe dovuto essere il primo lungometraggio di una seconda trilogia di film considerata idealmente come la Trilogia della morte, successiva alla Trilogia della vita. L'idea di base s'ispira al libro del marchese Donatien Alphonse François de Sade Le centoventi giornate di Sodoma; il film inoltre presenta riferimenti incrociati con l'extratesto dell'Inferno di Dante, tra l'altro presenti nello stesso de Sade.
Il film, presentato postumo in anteprima al Festival di Parigi il 22 novembre 1975, tre settimane dopo l'uccisione del regista. Arrivò nelle sale italiane il 10 gennaio 1976 e scatenò proteste vigorose e lunghe persecuzioni giudiziarie: il produttore Alberto Grimaldi subì processi per oscenità e corruzione di minori e nel 1976 fu decretato il sequestro della pellicola, che scomparve dagli schermi prima di essere rimessa in circolazione nel 1978.
Quattro Signori, rappresentanti dei poteri della Repubblica Sociale Italiana, il Duca (potere di casta), il Vescovo (potere ecclesiastico), il Presidente della Corte d'Appello (potere giudiziario), e il Presidente della Banca Centrale (potere economico), incaricano le SS e i soldati repubblichini di rapire un gruppo di ragazzi e ragazze di famiglia antifascista; dopo una severa selezione, si chiudono con loro in una villa di campagna, arredata con opere d'arte moderna e presidiata da un manipolo di soldati nazifascisti.
Con l'aiuto di Quattro Megere ex meretrici di bordello, instaurano per centoventi giornate una dittatura sessuale regolamentata da un puntiglioso Codice, che impone ai ragazzi assoluta e cieca obbedienza, pena la morte. Le Megere (tre narratrici e una pianista) guideranno le giornate raccontando le proprie specialità sessuali nella Sala delle Orge. Nell'Antinferno i Signori sottoscrivono le norme del Codice con un patto di sangue, sposando ciascuno la figlia di un altro, quindi suddividono le giovani "prede" in quattro gruppi: vittime, soldati, collaborazionisti, servitù.
Nel Girone delle Manie, i Signori, eccitati dai racconti feticisti della Signora Vaccari, seviziano ripetutamente i ragazzi, fino a farli stare nudi a quattro zampe, latranti come cani, dando loro in pasto polenta riempita di chiodi. Nel Girone della Merda, affidato alle perversioni anali della Signora Maggi, le vittime apprendono l'arte di farsi sodomizzare con gratitudine e partecipano a un pantagruelico pranzo la cui portata principale è costituita dalle proprie feci.
Nel Girone del Sangue, instillando un meccanismo di mutua delazione tra i ragazzi, i Signori designano le vittime dello strazio finale. In una sequenza di efferatezze e riti profani, tra torture, sevizie, amputazioni e uccisioni perpetrate sulla base di una sorta di dantesca pena del contrappasso, Signori e collaborazionisti si cimentano in balletti isterici e atti di sesso necrofilo. Mentre la carneficina è in corso, due giovani guardie, sulle note d'una canzonetta trasmessa dalla radio, accennano timidamente qualche passo di valzer.
La caccia dura settimane: i giovani, adocchiati in base a determinate caratteristiche, vengono adescati, rapiti, catturati e strappati dalle proprie famiglie o, in alcuni casi, addirittura venduti dai loro stessi familiari; dopodiché vengono sottoposti al vaglio dei libertini i quali, dopo una lunga selezione in cui un soggetto viene respinto anche per il minimo difetto fisico, scelgono infine nove ragazzi e nove ragazze, di età compresa tra i quindici e i vent'anni; dice che il film è sul potere o meglio "l'anarchia del potere":
Il film è strutturato intorno al principio del crescendo. Ogni capitolo del film è paragonato a un girone infernale, ognuno più tremendo del precedente
È l'ultimo film di Pasolini che negli ultimi mesi della sua vita, terminata con un omicidio, sentiva crescere intorno a sé un sentimento di ostilità. In quel periodo Pasolini denunciava lo sfacelo "culturale e antropologico" dell'Italia e delle classi popolari italiane a opera della spietatezza livellatrice delle classi dominanti: intuizioni che furono meglio recepite solo molti anni dopo la sua morte, a partire dalla fine degli anni ottanta, e considerate potenti e profetiche. Anche in relazione alle sue prese di posizione politiche e intellettuali sulla situazione italiana, le stragi e i misteri di Stato, Pasolini probabilmente temeva per la sua vita. Forse, messa in conto la possibilità della sua morte, continuò nella sua indagine come per una sfida finale nei confronti del mondo, convinto più che mai di gettarsi contro l'indifferenza degli italiani e l'assuefazione inculcata dal potere.
Le feci servite nel capitolo "Girone della merda" non erano ovviamente autentiche; ma si trattava comunque di intruglio disgustoso, a base di cioccolata e marmellata eccessivamente dolci e altri ingredienti stridenti, volti sollecitare la reazione schifata di chi le mangiava.
Il critico Serafino Murri lo definisce un «film in forma di enigma»: la lucida visione di una società ingorda e assassina, contro cui il poeta ha lottato fino a restarne oscuramente vittima. Il film dipinge "more geometrico" il volto terribile e grottesco del fascismo repubblichino attraverso l'immaginazione sessuale di un grande sovversivo: il marchese de Sade, rivoluzionario e conservatore, violento e scandaloso intellettuale sui generis. Il "Divino Marchese", rappresentante dell'Illuminismo che per eccesso di razionalità degenera nel suo contrario, è strumento di una narrazione agghiacciante e bloccata, specchio di una società dei consumi fatta di parole, leggi e comportamenti concepiti per estirpare all'umanità la sua autonomia pensante. "Salò" ne descrive cause ed effetti: l'orrore della strage trasformato in quotidiana normalità.
Sempre Mario Soldati scrisse: «dopo pochi minuti di proiezione, ho capito che Salò non soltanto era un film tragico e magico, il capolavoro cinematografico e anche, in qualche modo, letterario di Pasolini: ma un'opera unica, imponente, angosciosa e insieme raffinatissima, che resterà nella storia del cinema mondiale».
A un primo progetto scritto del film, proposto dalla produzione a Sergio Citti (che rifiutò di farne la regia) collaborarono Claudio Masenza, Antonio Troisi e soprattutto Pupi Avati che fu il deus ex machina della primissima stesura del film.
Cast. Inizialmente a Ninetto Davoli fu assegnato il ruolo di un giovane collaborazionista e a Laura Betti (ma poi si limitò a doppiarla) quello della signora Vaccari. Anche Franco Citti, terzo attore abituale pasoliniano nonché fratello dello sceneggiatore Sergio, non compare nel cast. Il sostituto di Davoli è Claudio Troccoli, un giovane che ricorda il Ninetto dei primi tempi. Pupi Avati è sceneggiatore non accreditato ufficialmente per problemi legati alla produzione. Franco Merli rappresentava il prototipo del ragazzo pasoliniano. Ezio Manni ricorda un episodio durante le riprese: «Lo stesso con Franco Merli, il ragazzo scelto per il sedere più bello. Quando per premiarlo gli puntano la pistola alla tempia, ha avuto uno scatto di ribellione, non è riuscito a sopportare quel gesto. Poi, anche lì, è arrivato l'aiuto regista e se l'è abbracciato».
Sede delle riprese. Alcuni esterni sono girati a Villa Aldini, un edificio neoclassico sui colli di Bologna. Gli interni invece sono stati girati a Villa Sorra presso Castelfranco Emilia, e nel salone dell'edificio nobile che nella Limonaia all'interno del Giardino Storico.
Lavorazione. Le riprese, effettuate principalmente nella cinquecentesca Villa Gonzaga-Zani a Villimpenta nella primavera del 1975, furono molto difficili; non tanto a livello tecnico (il direttore della fotografia era Tonino Delli Colli) quanto nella direzione degli attori: le scene di omofilia, coprofagia e sadomasochismo richiedevano una pazienza che solo il savoir faire e il carisma di Pasolini rendevano accettabili. La sequenza del cortile, poi, in cui le torture raggiungono il culmine, causò abrasioni e ustioni su alcuni corpi (nudi) dei giovani attori che interpretavano le vittime e fu forse il momento peggiore del set: lo stesso Pasolini ? sempre autocontrollato per ovvie ragioni ?rassicurative? ? vi tradì qualche imbarazzo e senso di colpa.
Tuttavia, si racconta che le pause di lavorazione fossero spesso giocose, con lunghe tavolate nei pasti ? a base preferibilmente di risotto ? fino ad arrivare a una partita di calcio disputata contro la troupe di Novecento di Bernardo Bertolucci, che girava nelle vicinanze. Essa sancì anche la riconciliazione fra l'allora giovane regista (34 anni all'epoca) e il suo indiscusso maestro (cinquantatreenne) dopo alcuni dissapori seguiti alle ingenerose critiche che il secondo aveva riservato a Ultimo tango a Parigi (1972), senza difenderlo dai drastici provvedimenti della censura.
Il furto delle bobine. Durante la lavorazione del film, alcune bobine furono rubate, chiedendo un riscatto. Per il montaggio furono usati quindi i "doppi": le stesse scene, girate però da una inquadratura diversa (in occasione dell'ultima riapertura del "caso Pasolini", si è formulata l'ipotesi che Pasolini fosse stato informato del ritrovamento delle suddette bobine sul lido di Ostia, ove egli si recò guidato dal Pelosi, cadendo così nell'agguato che lo uccise).
Il contrappasso per Salò, tuttavia, era ugualmente prossimo a venire: l'ultimo film di Pasolini ebbe, come il precedente Teorema, traversie giudiziarie durissime. Si aprirono ben trentuno casi processuali e solo nel 1991 venne riconosciuta piena dignità artistica al film. Salò è tuttora inedito nelle televisioni ?in chiaro?, mentre per quelle a pagamento il primo passaggio è avvenuto sul canale Stream il 2 novembre 2000 per i 25 anni della morte di Pasolini. Dal 2003, in Italia e in altri paesi, il film è uscito in commercio in DVD, in versione restaurata e con interviste di critici e attori cinematografici.
Di coloro che lavorarono in Salò, pochissimi hanno accettato di parlarne negli anni successivi (tra questi anche l'attore Paolo Bonacelli e Sergio Citti) Il secondo mostrava tutti gli attori del film (esclusi i quattro Signori), il regista e la troupe eseguire un ballo scatenato in una sala della villa arredata da bandiere rosse: la scena fu girata con lo scopo di usarla per metterci dentro i titoli di coda, ma venne scartata perché risultava, agli occhi di Pasolini, caotica e insoddisfacente. Infine, mantenendo l'idea del ballo come azzeramento della carneficina, Pasolini scelse per il montaggio definitivo il cosiddetto finale "Margherita", con i due giovani soldati repubblichini che ballano.
A maggio 2015 al Festival di Cannes è stata proiettata in anteprima mondiale la versione restaurata in HD dalla Cineteca di Bologna e reintegrata dei tagli di censura, per poi essere proiettata per la prima volta in Italia nel luglio seguente, durante la rassegna "Il Cinema Ritrovato" che si tiene in piazza Maggiore.
Il film, presentato postumo in anteprima al Festival di Parigi il 22 novembre 1975, tre settimane dopo l'uccisione del regista. Arrivò nelle sale italiane il 10 gennaio 1976 e scatenò proteste vigorose e lunghe persecuzioni giudiziarie: il produttore Alberto Grimaldi subì processi per oscenità e corruzione di minori e nel 1976 fu decretato il sequestro della pellicola, che scomparve dagli schermi prima di essere rimessa in circolazione nel 1978.
Trama
Il film è suddiviso in quattro parti, i cui titoli si rifanno in parte alla geografia dantesca dell'Inferno: Antinferno, Girone delle Manie, Girone della Merda e Girone del Sangue. I tre "Gironi" in particolare richiamano l'analoga tripartizione dantesca del Cerchio dei Violenti.Quattro Signori, rappresentanti dei poteri della Repubblica Sociale Italiana, il Duca (potere di casta), il Vescovo (potere ecclesiastico), il Presidente della Corte d'Appello (potere giudiziario), e il Presidente della Banca Centrale (potere economico), incaricano le SS e i soldati repubblichini di rapire un gruppo di ragazzi e ragazze di famiglia antifascista; dopo una severa selezione, si chiudono con loro in una villa di campagna, arredata con opere d'arte moderna e presidiata da un manipolo di soldati nazifascisti.
Con l'aiuto di Quattro Megere ex meretrici di bordello, instaurano per centoventi giornate una dittatura sessuale regolamentata da un puntiglioso Codice, che impone ai ragazzi assoluta e cieca obbedienza, pena la morte. Le Megere (tre narratrici e una pianista) guideranno le giornate raccontando le proprie specialità sessuali nella Sala delle Orge. Nell'Antinferno i Signori sottoscrivono le norme del Codice con un patto di sangue, sposando ciascuno la figlia di un altro, quindi suddividono le giovani "prede" in quattro gruppi: vittime, soldati, collaborazionisti, servitù.
Nel Girone delle Manie, i Signori, eccitati dai racconti feticisti della Signora Vaccari, seviziano ripetutamente i ragazzi, fino a farli stare nudi a quattro zampe, latranti come cani, dando loro in pasto polenta riempita di chiodi. Nel Girone della Merda, affidato alle perversioni anali della Signora Maggi, le vittime apprendono l'arte di farsi sodomizzare con gratitudine e partecipano a un pantagruelico pranzo la cui portata principale è costituita dalle proprie feci.
Nel Girone del Sangue, instillando un meccanismo di mutua delazione tra i ragazzi, i Signori designano le vittime dello strazio finale. In una sequenza di efferatezze e riti profani, tra torture, sevizie, amputazioni e uccisioni perpetrate sulla base di una sorta di dantesca pena del contrappasso, Signori e collaborazionisti si cimentano in balletti isterici e atti di sesso necrofilo. Mentre la carneficina è in corso, due giovani guardie, sulle note d'una canzonetta trasmessa dalla radio, accennano timidamente qualche passo di valzer.
La caccia dura settimane: i giovani, adocchiati in base a determinate caratteristiche, vengono adescati, rapiti, catturati e strappati dalle proprie famiglie o, in alcuni casi, addirittura venduti dai loro stessi familiari; dopodiché vengono sottoposti al vaglio dei libertini i quali, dopo una lunga selezione in cui un soggetto viene respinto anche per il minimo difetto fisico, scelgono infine nove ragazzi e nove ragazze, di età compresa tra i quindici e i vent'anni; dice che il film è sul potere o meglio "l'anarchia del potere":
il reale senso del sesso nel mio film è quello che dicevo, cioè una metafora del rapporto del potere con chi gli è sottoposto. Tutto il sesso di de Sade, cioè il sadomasochismo di de Sade, ha dunque una funzione ben specifica, ben chiara. Cioè quella di rappresentare ciò che il potere fa del corpo umano, la riduzione del corpo umano alla cosa, la mercificazione del corpo. Cioè praticamente l'annullamento della personalità degli altri, dell'altro. È quindi un film non soltanto sul potere, ma su quello che io chiamo "l'anarchia del potere", perché nulla è più anarchico del potere, il potere fa praticamente ciò che vuole e ciò che il potere vuole è completamente arbitrario, o dettatogli da sue necessità di carattere economico che sfuggono alla logica comune. [...] Questo vuole essere un film sull'inesistenza della storia. Cioè la storia così come vista dalla cultura eurocentrica, il razionalismo e l'empirismo occidentale da una parte, il marxismo dall'altra, nel film vuole essere dimostrato come inesistente... Beh! Non direi per i nostri giorni, lo prendo come metafora del rapporto del potere con chi è subordinato al potere, e quindi vale in realtà per tutti. Evidentemente la spinta è venuta dal fatto che io detesto soprattutto il potere di oggi. È un potere che manipola i corpi in modo orribile, che non ha niente da invidiare alla manipolazione fatta da Himmler o da Hitler. Li manipola trasformandone la coscienza, cioè nel modo peggiore, istituendo dei nuovi valori che sono dei valori alienanti e falsi, i valori del consumo, che compiono quello che Marx chiama un genocidio di culture viventi, reali, precedenti.
Il film è strutturato intorno al principio del crescendo. Ogni capitolo del film è paragonato a un girone infernale, ognuno più tremendo del precedente
È l'ultimo film di Pasolini che negli ultimi mesi della sua vita, terminata con un omicidio, sentiva crescere intorno a sé un sentimento di ostilità. In quel periodo Pasolini denunciava lo sfacelo "culturale e antropologico" dell'Italia e delle classi popolari italiane a opera della spietatezza livellatrice delle classi dominanti: intuizioni che furono meglio recepite solo molti anni dopo la sua morte, a partire dalla fine degli anni ottanta, e considerate potenti e profetiche. Anche in relazione alle sue prese di posizione politiche e intellettuali sulla situazione italiana, le stragi e i misteri di Stato, Pasolini probabilmente temeva per la sua vita. Forse, messa in conto la possibilità della sua morte, continuò nella sua indagine come per una sfida finale nei confronti del mondo, convinto più che mai di gettarsi contro l'indifferenza degli italiani e l'assuefazione inculcata dal potere.
Le feci servite nel capitolo "Girone della merda" non erano ovviamente autentiche; ma si trattava comunque di intruglio disgustoso, a base di cioccolata e marmellata eccessivamente dolci e altri ingredienti stridenti, volti sollecitare la reazione schifata di chi le mangiava.
Il critico Serafino Murri lo definisce un «film in forma di enigma»: la lucida visione di una società ingorda e assassina, contro cui il poeta ha lottato fino a restarne oscuramente vittima. Il film dipinge "more geometrico" il volto terribile e grottesco del fascismo repubblichino attraverso l'immaginazione sessuale di un grande sovversivo: il marchese de Sade, rivoluzionario e conservatore, violento e scandaloso intellettuale sui generis. Il "Divino Marchese", rappresentante dell'Illuminismo che per eccesso di razionalità degenera nel suo contrario, è strumento di una narrazione agghiacciante e bloccata, specchio di una società dei consumi fatta di parole, leggi e comportamenti concepiti per estirpare all'umanità la sua autonomia pensante. "Salò" ne descrive cause ed effetti: l'orrore della strage trasformato in quotidiana normalità.
Sempre Mario Soldati scrisse: «dopo pochi minuti di proiezione, ho capito che Salò non soltanto era un film tragico e magico, il capolavoro cinematografico e anche, in qualche modo, letterario di Pasolini: ma un'opera unica, imponente, angosciosa e insieme raffinatissima, che resterà nella storia del cinema mondiale».
Produzione
Trilogia della Morte ? Episodio I. Dopo la Trilogia della Vita (comprendente Il Decameron, I racconti di Canterbury e Il fiore delle Mille e una notte), il poeta-regista ebbe in mente di realizzare una Trilogia della Morte, nella quale ribaltare l'ottimismo favolistico dei tre "classici" precedenti, in particolare per quanto riguarda la componente sessuale: gioiosa e solare nel primo trittico, fredda e raccapricciante nel secondo. Su suggerimento di Sergio Citti, Salò venne scelto come primo episodio e rimase poi l'unico realizzato a causa della tragica e prematura morte del regista. L'intenzione di Pasolini, per i motivi che abbiamo visto, era di non risparmiare nulla a livello di violenza e perversione: benché si trattasse di violenza più simbolica che fisica, e benché l'ossessivo accanimento realistico con cui de Sade la descriveva nel suo romanzo fosse nel film di Pasolini effettivamente ridotto, Salò si preannunciò fin dalla lavorazione un film maledetto.A un primo progetto scritto del film, proposto dalla produzione a Sergio Citti (che rifiutò di farne la regia) collaborarono Claudio Masenza, Antonio Troisi e soprattutto Pupi Avati che fu il deus ex machina della primissima stesura del film.
Cast. Inizialmente a Ninetto Davoli fu assegnato il ruolo di un giovane collaborazionista e a Laura Betti (ma poi si limitò a doppiarla) quello della signora Vaccari. Anche Franco Citti, terzo attore abituale pasoliniano nonché fratello dello sceneggiatore Sergio, non compare nel cast. Il sostituto di Davoli è Claudio Troccoli, un giovane che ricorda il Ninetto dei primi tempi. Pupi Avati è sceneggiatore non accreditato ufficialmente per problemi legati alla produzione. Franco Merli rappresentava il prototipo del ragazzo pasoliniano. Ezio Manni ricorda un episodio durante le riprese: «Lo stesso con Franco Merli, il ragazzo scelto per il sedere più bello. Quando per premiarlo gli puntano la pistola alla tempia, ha avuto uno scatto di ribellione, non è riuscito a sopportare quel gesto. Poi, anche lì, è arrivato l'aiuto regista e se l'è abbracciato».
Sede delle riprese. Alcuni esterni sono girati a Villa Aldini, un edificio neoclassico sui colli di Bologna. Gli interni invece sono stati girati a Villa Sorra presso Castelfranco Emilia, e nel salone dell'edificio nobile che nella Limonaia all'interno del Giardino Storico.
Lavorazione. Le riprese, effettuate principalmente nella cinquecentesca Villa Gonzaga-Zani a Villimpenta nella primavera del 1975, furono molto difficili; non tanto a livello tecnico (il direttore della fotografia era Tonino Delli Colli) quanto nella direzione degli attori: le scene di omofilia, coprofagia e sadomasochismo richiedevano una pazienza che solo il savoir faire e il carisma di Pasolini rendevano accettabili. La sequenza del cortile, poi, in cui le torture raggiungono il culmine, causò abrasioni e ustioni su alcuni corpi (nudi) dei giovani attori che interpretavano le vittime e fu forse il momento peggiore del set: lo stesso Pasolini ? sempre autocontrollato per ovvie ragioni ?rassicurative? ? vi tradì qualche imbarazzo e senso di colpa.
Tuttavia, si racconta che le pause di lavorazione fossero spesso giocose, con lunghe tavolate nei pasti ? a base preferibilmente di risotto ? fino ad arrivare a una partita di calcio disputata contro la troupe di Novecento di Bernardo Bertolucci, che girava nelle vicinanze. Essa sancì anche la riconciliazione fra l'allora giovane regista (34 anni all'epoca) e il suo indiscusso maestro (cinquantatreenne) dopo alcuni dissapori seguiti alle ingenerose critiche che il secondo aveva riservato a Ultimo tango a Parigi (1972), senza difenderlo dai drastici provvedimenti della censura.
Il furto delle bobine. Durante la lavorazione del film, alcune bobine furono rubate, chiedendo un riscatto. Per il montaggio furono usati quindi i "doppi": le stesse scene, girate però da una inquadratura diversa (in occasione dell'ultima riapertura del "caso Pasolini", si è formulata l'ipotesi che Pasolini fosse stato informato del ritrovamento delle suddette bobine sul lido di Ostia, ove egli si recò guidato dal Pelosi, cadendo così nell'agguato che lo uccise).
Distribuzione
Pasolini commentando il film con il suo editore di lunga data, Livio Garzanti, affermò che lo aveva voluto come «ultima sfida alla censura» e aggiunse: «se lo lasciano passare la censura non esiste più».Il contrappasso per Salò, tuttavia, era ugualmente prossimo a venire: l'ultimo film di Pasolini ebbe, come il precedente Teorema, traversie giudiziarie durissime. Si aprirono ben trentuno casi processuali e solo nel 1991 venne riconosciuta piena dignità artistica al film. Salò è tuttora inedito nelle televisioni ?in chiaro?, mentre per quelle a pagamento il primo passaggio è avvenuto sul canale Stream il 2 novembre 2000 per i 25 anni della morte di Pasolini. Dal 2003, in Italia e in altri paesi, il film è uscito in commercio in DVD, in versione restaurata e con interviste di critici e attori cinematografici.
Di coloro che lavorarono in Salò, pochissimi hanno accettato di parlarne negli anni successivi (tra questi anche l'attore Paolo Bonacelli e Sergio Citti) Il secondo mostrava tutti gli attori del film (esclusi i quattro Signori), il regista e la troupe eseguire un ballo scatenato in una sala della villa arredata da bandiere rosse: la scena fu girata con lo scopo di usarla per metterci dentro i titoli di coda, ma venne scartata perché risultava, agli occhi di Pasolini, caotica e insoddisfacente. Infine, mantenendo l'idea del ballo come azzeramento della carneficina, Pasolini scelse per il montaggio definitivo il cosiddetto finale "Margherita", con i due giovani soldati repubblichini che ballano.
A maggio 2015 al Festival di Cannes è stata proiettata in anteprima mondiale la versione restaurata in HD dalla Cineteca di Bologna e reintegrata dei tagli di censura, per poi essere proiettata per la prima volta in Italia nel luglio seguente, durante la rassegna "Il Cinema Ritrovato" che si tiene in piazza Maggiore.
Curiosità
- Franco Merli e Ines Pellegrini avevano già recitato nel precedente film di Pasolini Il fiore delle Mille e una notte interpretando due giovanissimi amanti.
- Dopo la sua uscita, il film ricevette critiche negative anche da parte di intellettuali di sinistra. A ritenere pessima la scelta di ambientare il romanzo di de Sade in epoca repubblichina fu anche Italo Calvino, in un articolo comparso sul Corriere della Sera il 30 novembre 1975. La critica di Calvino diventava un'appendice a una polemica giornalistica incominciata tra lui stesso e Pasolini poco prima della morte dello scrittore friulano. Curiosamente, come ricordato dallo stesso romanziere di Santiago, egli non solo conosceva l'opera di de Sade, ma aveva anche consultato il manoscritto originale del romanzo alcuni anni prima. Un'altra curiosità (del tutto esterna alla polemica sul film) è che Calvino aveva avuto negli anni cinquanta una relazione sentimentale con l'attrice Elsa De Giorgi, una delle quattro narratrici del film.
- Durante la partita di calcio contro la troupe di Novecento entrambi i registi sostennero le proprie squadre, solo che mentre Bertolucci lo faceva dalla panchina, Pasolini giocava direttamente in campo. La troupe di Novecento indossava una maglia viola con delle bande fosforescenti per distrarre gli avversari e aveva schierato, spacciandoli per macchinisti, due giocatori della primavera del . La troupe di Salò perse per 5 a 2 e Pasolini, furioso, abbandonò il campo prima della fine gridando: «Non legge più niente, quello lì!» a Bernardo Bertolucci.
Fonte: Wikipedia
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